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Verso il voto: attenzione a non cadere nella trappola dei dualismi

10-10-2023 08:19 - Opinioni
di Pietro Spina

Il dualismo. Sembra essere il male che affligge, da anni la sinistra: il Pci prima, il Pd negli ultimi anni. A livello nazionale, come a livello locale. Un partito, due o più anime. E via le “guerre” interne. Caratteri e personalità differenti. Differenti le vedute politiche. Questo, almeno, è quel che negli anni, è avvenuto a livello nazionale. Sia durante la Prima Repubblica, sia dopo che la fisionomia dei partiti, così come si erano strutturati nel dopoguerra, è cambiata diametralmente, con la Seconda Repubblica.

Come Coppie Bartali, come Rivera e Mazzola ai Mondiali di Mexico 70, solo per fare qualche esempi “datato” nello sport. All’inizio, nel Partito Comunista italiano, fu battaglia tra gli amendoliani e gli ingraiani. Da una parte Giorgio Amendola, dall’altra Pietro Ingrao. Ma con una differenza notevole: all’epoca, per com’era strutturato il partito, c’era il segretario, pronto a fare la sintesi dei diversi pensieri e delle diverse vedute. E quegli scontri non duravano a lungo.

In tempi più recenti non è stato così. Più duraturo, più divisivo è stato il dualismo tra D’Alema e Veltroni (che si sono contesi un posto da segretario nazionale del partito), quello tra D’Alema e Prodi, con tanto di ribaltone, nel 1998, per la poltrone di presidente del consiglio. E di ribaltone s’è trattato anche per l’altro dualismo, sempre acceso, tra Letta e Renzi.

Cultura politica, vedute, posizionamento del partito nell’area più adeguata sono anche gli ingredienti che hanno regolato l’ennesimo confronto a due, sul quale si è trovato a decidere il Partito Democratico, quando, da una parte s’è trovato Stefano Bonaccini, dall’altra Elly Schlein.

Sono episodi che dovrebbero far riflettere, per evitare di cadere negli errori di sempre. Spesso i dualismi diventano ostacoli contro i quali rischiano di andare a sbattere progetti, idee, buone intenzioni.

Con le dovute proporzioni, tutto questo rischia di accadere anche a livello locale, dove a volte i confronti personali sembrano meno aspri.

In queste settimane nelle stanze dei partiti si sta discutendo per trovare i candidati ideali da proporre agli elettori in occasione delle elezioni amministrative del giugno 2024. In qualche luogo si è scelto. In altri si profilano confronti/scontri a due o più probabili candidati. Un risultato, questo, che si presta a due letture: da una parte l’incapacità di aver individuato, nei dieci anni di amministrazione che si lasciano alle spalle i sindaci che dovranno lasciare, per “decorrenza dei termini”, cioè per aver svolto i due mandati che, oggi, prevede la legge, una figura in grado di dare continuità politica a quanto svolto nei due lustri. Non c’è stato, in pratica, il passaggio diretto del testimone, per dirla con un esempio sportivo.

Dall’altra – e questa è una visione più ottimistica e che fa anche ben sperare – c’è da dire che, intorno al progetto politico per amministrare una città, ruotano le idee e le ambizioni di diversi giovani, pronti a confrontarsi, a mettersi in gioco, a scontrarsi, pur di far valere la propria visione.

Ma c’è un aspetto che i vertici del Partito Democratico (in questo caso le segreterie locali) devono tenere in considerazione: il dualismo rischia di creare effetti negativi. Intanto è un’opera di autolesionismo, crea fratture, ferite che poi hanno bisogno di tempo – e di maturità – per rimarginarsi.

Per non parlare poi, dell’effetto primarie, istituto nel quale, rischiano di cadere alcune segreterie, per arrivare alla scelta definitiva. Su quali danni può provocare, nel piccolo, una consultazione del genere, ci sono esempi sparsi in tutta Italia. Ma non occorre andare troppo lontano.

Nel 2016, a Cascina, in provincia di Pisa, il Pd locale non è granitico nel dare la conferma della candidatura ad Alessio Antonelli, che, per il Pd aveva amministrato la città nei cinque anni precedenti. C’è un altro contendente: è Andrea Paganelli, all’epoca consigliere comunale. Tra i due, per convincere il proprio elettorato alla scelta, si innesca una battaglia aspra, non confacente a esponenti dello stesso partito. E l’effetto sugli elettori non è certo positivo. Alle primarie vince Antonelli che, alle elezioni va al ballottaggio, a sorpresa, con Susanna Ceccardi, esponente della Lega, sostenuta anche da altre forze del centrodestra. Buona parte dei sostenitori di Paganelli, dopo lo scempio della campagna elettorale delle primarie, o non erano andati alle urne o avevano espresso un voto di protesta, mandando il centrosinistra al ballottaggio. E quindici giorni dopo, Susanna Ceccardi viene eletta sindaco, seppur per una manciata di voti (8897 contro gli 8796 di Antonelli).
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