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Riscopriamo la grammatica del rispetto e dell'educazione

09-10-2023 11:18 - Opinioni
di Franco Pescali
Guardate questa foto che è stata scattata a Fukushima in Giappone, dove qualche anno fa a seguito di un terremoto e successivo maremoto, una centrale nucleare sommersa dalleacque, produsse la dispersione di materiale radioattivo nell’atmosfera e nei campi circostanti.

Questi signori nella foto sono i responsabili dell’Agenzia Nucleare Giapponese e i responsabili della centrale di Fukushima.

Quello che stanno facendo al termine della conferenza stampa è l’ Ojigi, ovvero un gesto di scusa verso il paese per il disastro causato.

Lo stesso atto viene compiuto da politici, amministratori pubblici o privati quando la propria organizzazione o il proprio comportamento hanno prodotto danni, disonore al paese o morti.

E ora veniamo in Italia e precisamente a Mestre.

Mentre i soccorritori erano ancoraintenti a estrarre i feriti e le vittime dall’autobus precipitato dal viadotto, è subito partita da parte dei nostri politici una girandola di dichiarazioni pubbliche di accidiose accuse e diipotesi fantasiose sull’incidente.

Nessuno, dico nessuno che ricopra incarichi governativi, che sia recato sul posto a chiedere scusa per quello che era successo, per stringersi alle famiglie dei superstiti, o per ringraziare i soccorritori.

Nei giorni successivi la tragedia come da italica tradizione, c’è stata la gara allo scarica barilee al distinguo, al trionfo del bizantinismo giuridico e amministrativo; il viadotto era in gestione a quell’ente che poi era passato all’ente X per la manutenzione del manto stradale, però per il guardrail la responsabilità era di Y, per la progettazione e di Z per la manutenzione.

Insomma, nessun in grado di dare una risposta, nessuno che ci ha messo la faccia.

Leo Longanesi, il maestro di Indro Montanelli sosteneva “Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione”; infatti per le inaugurazioni di opere pubbliche, oggi servono nastri lunghi dieci metri per contenere tutte le cariche presenti, per le foto di rito da far girare subito sui social.

Quando invece succede qualcosa, si preferisce urlare, invece che rispettare almeno un doveroso silenzio e soprattutto nessuno che si assuma delle responsabilità; solo un vuoto di sentimenti e di aridità ,sovrastato da insulti e polemiche sterili.

Inoltre, sarebbe stato un bel gesto ringraziare i soccorritori.

In questo incidente sono morti diversi bambini e altri sono stati estratti dalla carcassa dell’autobus con profonde ferite.

Nella mia vita, prima di approdare alla pensione ho fatto il pilota di elicottero e mi sono occupato di prevenzione d’ incidenti aeronautici e di maxi-emergenze.

Ho parlato con i sanitari che sono intervenuti nel disastro aereo di Linate dove l’otto ottobre 2001, morirono 118 persone, ho parlato con i Vigili del Fuoco intervenuti a Viareggio dopo il disastro ferroviario, ho preso parte a tutta la vicenda del naufragio della Costa Concordia.

Parlando sia con i sanitari, che con i Vigili del Fuoco, quando si parlava di salvataggi o di estrazione di cadaveri di minori anche a distanza di anni si capiva che la ferita faceva ancora male.

C’era chi si ricordava una scarpina, chi una posizione, chi tra le lacrime un “carboncino” come mi disse un Vigile del Fuoco che aveva estratto un bambino morto ustionato.

Così come i sanitari che in ospedale devono dare la triste notizia ai genitori dei bambini morti o ai loro parenti; oppure alle forze di Polizia, che devono riconsegnare gli oggetti alle famiglie: il cellulare, lo zainetto, il casco.

Una volta parlando con una persona che aveva perso un figlio in un incidente aereo mi disse: Pescali lo sa che non esiste nel nostro ricchissimo vocabolario una parola che indichi la morte di un figlio? Se ad una persona gli muore il marito o la moglie si dice che è vedovo o vedova, se ad uno gli muore un genitore si dice che è orfano. Ma se ti muore un figlio? Non c’ è una parola. E lo sa perché non c’è una parola? Perché è un dolore che non si riesce a esprimere, è innominabile.

Ecco, queste le sono le situazioni in cui i nostri soccorritori, che al momento giusto vengono chiamati eroi, vivono nei loro servizi.

A loro, nessuno è andato a dire grazie, ad abbracciarli a far sentire il calore umano al di là delle cariche e delle gerarchie.

L’importante è che il giorno dopo sui giornali, in perfetto bollettino cinegiornale“Luce” si sapesse il numero di Vigili del Fuoco presenti alle operazioni e i relativi mezzi: 3 autoscale, 2 autobotti, 4 autovetture.

Forse sarebbe il caso di riscoprire la grammatica dell’educazione e del rispetto.
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