21 Novembre 2024
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Quel manifesto che raccontava Pinelli, scomparso misteriosamente...

15-11-2024 00:22 - Cronaca
Nei giorni scorsi si è spenta Licia Pinelli, la moglie dell'anarchico Pino, morto nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, precipitando dal quarto piano della Questura di Milano, dove si trovava, fermato e interrogato come sospettato di aver messo la bomba alla Banca dell'Agricoltura, di piazza Fontana, esplosa il 12 dicembre.

Licia aveva 96 anni.

La storia di Pino Pinelli ha alcuni curiosi legami con Empoli e l'Empolese.

Il primo risale al 2 novembre del 1969, poche settimane prima del tragico scoppio all'interno della banca milanese. Gli anarchici empolesi organizzano un convegno che mette a confronto due anime del movimento: i giovani della Fagi (la federazione anarchica giovanile) che attaccano il gruppo di anarchici che redige e pubblica la rivista Umanità Nova e i capi della Fai. Il giorno prima si erano confrontati in un evento che si era tenuto a Carrara, quello di Empoli, invece, era stato organizzato dal Gruppo d'iniziativa anarchica, il Gia.

A Carrara Pietro Valpreda era intervenuto come uno dei fondatori del gruppo 22 marzo, in onore della data in cui prese il via la ribellione francese. Era arrivato da Roma, decide di restare e presenziare anche al convegno dei compagni anarchici empolesi. E qui si incontra con Giuseppe Pinelli. In una trattoria – probabilmente Sciabolino – dove era stato organizzato il pranzo per chi aveva partecipato alla sessione mattutina dell'incontro.

Su quel che è accaduto durante quel pranzo ci sono versioni contrastanti: diverse anche quelle rilasciate dai testimoni alle forze dell'ordine e dagli stessi protagonisti.

L'antefatto è che Pinelli, nei giorni precedenti aveva detto chiaramente di non stimare Valpreda. E' per via di alcune voci che lo dipingono come autore di una serie di attentati.

Pinelli lo racconta nell'interrogatorio che precede quel che avvenne la notte del 15 dicembre in Questura, tre giorni dopo lo scoppio della bomba. Dice il verbale di quell'interrogatorio, finito negli atti di un processo che si è celebrato a Catanzaro: “Dopo il convegno in cinquanta andammo a pranzo in una trattoria. Valpreda mi salutò ma io non risposi, giustificando questo mio rifiuto con il fatto che non tenevo alla sua amicizia. Lui, indispettito mi tirò una saliera che non mi colpì”.

Diversa la versione rilasciata da Valpreda prima al giudice Vittorio Occorsio e poi in tribunale. “A quella tavolata c'erano anarchici arrivati da tutta Italia, si rideva e discuteva animatamente. Pinelli era in compagnia di alcuni amici che arrivavano dal Friuli e parlava con una bella ragazza bionda che richiamava l'interesse generale”
Valpreda racconta di aver tirato un cucchiaino verso Pinelli per attirare l'attenzione, colpendo un'altra persona che le era seduta accanto.

L'altro episodio che riguarda Pino Pinelli è legato al Comune di Montelupo Fiorentino, dove, nell'autunno del 1971 viene organizzata una mostra di grafica dal titolo “Ma il fascismo non passerà”. Furono invitati alcuni tra i più grandi maestri ad esporre le proprie opere su questo tema: Alinari, Baratella, Baruchello, Bueno, Chiodi, De Poli, Echaurren, Fallani, offredo, Margonari, Matta, Spadari, Staccioli, Tadini, Titonel e Vedova.

Ivana Poli, esperta di grafica, venne incaricata dall'amministrazione comunale di realizzare il manifesto della mostra: ne furono stampare 2000 copie, in quattro colori. Si tratta della sequenza di 9 quadri che raccontano la morte di Giuseppe Pino Pinelli. Ma quel manifesto scomparve, misteriosamente: non fu affisso da nessuna parte, non fu inviato a giornalisti e a critici, non lo videro, la sera del 6 settembre , giorno del'inaugurazione della mostra che si teneva nei locali della scuola elementare, gli stessi artisti che avevano messo a disposizione le loro opere.

Alla domanda dei pittori che volevano conoscere i motivi di questa sparizione, fu risposto che era per una questione organizzativa.

O ricompare il manifesto o niente mostra, dissero allora gli artisti.

Niente mostra, fu la conclusione. Ma, grazie al quotidiano Il Manifesto, fu pubblicato e reso noto al pubblico poche settimane dopo: il 10 ottobre 1971.
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