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Quel 23 agosto il padule divenne rosso di sangue innocente

23-08-2023 08:10 - Cronaca
di Claudio Biscarini

Era un mercoledì quel 23 agosto 1944. I santi del giorno erano Santa Rosa da Lima e San Manlio. Il sole sorgeva alle 5,27 e tramontava alle 18,58. Poco dopo l’alba, nel territorio vasto del Padule di Fucecchio, ma che comprende altri territori comunali come Larciano, Ponte Buggianese e Monsummano, i numerosi sfollati che da tempo anche su consiglio del comando tedesco, si erano rifugiati nei canneti, tra il sarello, e nei casotti per pescatori e cacciatori del Padule, stavano iniziando un’altra giornata di guerra.

Nello stesso momento, reparti della cinque Compagnie del Panzer-Aufklärungs –Abteilung 26., il reparto esplorante corazzato della 26. Panzerdivision la quale stava controllando il territorio dal 18 luglio,al comando del Capitano di Cavalleria Josef Strauch, iniziarono a circondare la zona e ad ammazzare chiunque trovassero. L’operazione era stata programmata dal comandante la divisione, colonnello Peter Eduard Crasemann, come anti partigiana. In realtà, nei giorni avanti, c’erano stati alcuni piccoli attacchi da parte di un gruppo di combattenti alla macchia, guidato dal professor Aristide Benedetti, ma che non giustificavano certo quel che accadde.

Nel caldo torrido, le pattuglie tedesche rastrellarono la zona, massacrando civili inermi a Stabbia, alla Tabaccaia, a Ponte Buggianese, a Castel Martini di Larciano dove, nella colonica conosciuta come Casa Silvestri della tenuta Poggi-Banchieri, i soldati della 1. Kompanie, Panzer-Aufklärungs-Abteilung 26., oltre a massacrare quasi tutta la famiglia Silvestri e alcuni sfollati a cui avevano dato asilo, violentarono moribonda anche una delle giovani figlie del colono e distrussero col fuoco i cadaveri. Fu proprio la baronessa Giulia Poggi Banchieri che, avendo avuto la notizia del massacro dei suoi coloni, intervenne presso il comandante del Panzergrenadierregiment 9., della stessa divisione, tenente colonnello Henning von Witzleben che alloggiava in villa, perché facesse terminare quello scempio.

L’ufficiale, avendo fatto fare una rapida inchiesta da un suo subalterno, in effetti ordinò di cessare l’operazione intorno a mezzogiorno, anche se fino alle due del pomeriggio circa, ci furono altre uccisioni. Eppure, anche un ufficiale coinvolto nella strage al comando di una delle compagnie, il tenente Leopold von Buch, nel suo diario ammise di aver capito da subito che stavano uccidendo sfollati e non partigiani. Alla fine, nei casolari, sulle strade e nei campi del Padule restavano 175 cadaveri, alcuni, almeno una ventina, di bambini anche di pochi mesi.

Nel dopo guerra, Crasemann fu processato e condannato a 10 anni di carcere. Morì, nel 1950, nella prigione di Weirl nella Germania controllata dai britannici. Anche Strauch fu processato nel 1947 e condannato a sei anni ma, grazie alla “guerra fredda” e al governo Adenauer, a fine 1949 era già virtualmente libero presso il centro delle Fraschette di Alatri. Rientrato in patria, e dopo anche un coinvolgimento politico nella destra ultra nazionalista tedesca, Strauch è deceduto a casa sua nel 1970.

Nessuno degli altri ufficiali coinvolti fu mai più cercato, se non per qualcuno a testimoniare nei due processi a Crasemann e Strauch, per quanto riguardava la strage. Il sottotenente Dirks Tillmann, proveniente dalla Marina dei Reich, l’uomo che comandò la 1. Kompanie a Casa Silvestri e a Casa Simoni, è morto anch’esso tranquillamente a casa sua e mai nessuno lo ha ricercato. Solo nel 2011 il Procuratore Militare di Roma dottor Marco de Paolis ha condannato tre ex appartenenti alla 26. Panzerdivision per la partecipazione alla strage, all’ergastolo in un processo nel quale, chi scrive, venne chiamato come esperto di storia militare. Nessuno dei tre, ormai ultra novantenni, ha mai passato un giorno tra le sbarre.
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