Piombino e le ciminiere mentali
29-10-2024 14:00 - Opinioni
di Stefano Tamburini
Sì, dividetevi pure fra nostalgici, futuristi, “rimpiantisti” e quant’altro a proposito delle ciminiere della fetida ex centrale Enel di Tor del Sale che fino a poche ore fa devastava il panorama del golfo tra Piombino e Follonica.
Dividetevi e continuate a non rendervi conto che le ciminiere che devono crollare per guardare al futuro non sono solo quelle fisiche ma quelle mentali. Andate pure a festeggiare o a lacrimare di fronte al panorama che cambia, alle ciminiere che si sbriciolano. Poi, però, anche basta con la retorica del ricordo e della nostalgia, dell’“industrialismo” e del “turistismo” che si scontrano. Non serve a niente, anzi è proprio quello il problema. E non è solo una questione piombinese, val la pena di raccontarla bene perché è un paradigma bloccato che vale un po’ ovunque.
Il Keu, la Multiutility, il gassificatore: politica prona
Nel distretto delle concerie cosa è accaduto con lo scandalo Keu (i fanghi tossici di conceria sparsi ovunque con fetidi intrecci tra politica e criminalità organizzata)? Quanti si sono stracciati le vesti di fronte al più grande scandalo politico-criminale della Toscana? I soliti pochi “rompicoglioni” e pochi altri. E di fronte al ratto bipartisan dell’acqua pubblica mascherato da Multiutility con tanto di amministratore delegato prepotente che detta l’agenda ai sindaci? Qui almeno la protesta c’è stata e alla fine è andata un po’ meglio di come poteva sembrare. Ma è solo un’illusione: in vista delle prossime elezioni regionali il riallineamento è già cominciato. Perfino il sindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi (Fratelli d’Italia) è passato dall’essere il principale censore al principale sponsor della scellerata iniziativa di saccheggio delle tasche dell’utente non più cittadino, partorita nel Pd fiorentino-pratese-empolese in un intreccio di residui di renzismo e rampantismo di sindaci alla ricerca di una nuova sedia da scaldare.
La lezione che nessuno vuole comprendere
Ecco, prendiamo come esempio la storia di Piombino perché Piombino da decenni è prigioniera di un passato che ha illuso con il finto benessere della borghesia operaia legata alle acciaierie che negli anni settanta del secolo scorso davano lavoro perfino a operai che venivano qui con gli autobus dal Monte Amiata. Era la Piombino delle settimane bianche e delle vacanze a portata di tutti, dei negozi che facevano grandi affari e di tanti ex commercianti che all’epoca hanno prosperato su un bel giro di guadagni e oggi si lamentano per le pensioni “da fame” che non sono il segno di una politica miope ma più semplicemente del fatto che ai tempi si sono tenuti quasi tutti i soldi incassati e hanno pagato i contributi al minimo.
Piombino è prigioniera di una salute precaria, indagini epidemiologiche serie non ne sono mai state fatte ma anche un esame empirico del livello di tumori all’apparato respiratorio dovrebbe destare più di un allarme. No, niente di tutto questo. Piombino è prigioniera di un’illusione del tempo perduto. E, soprattutto, di un “cassintegratismo” eterno e triste, che non è colpa di chi lo subisce ma di una politica menefreghista, che promette accordi di programma a ridosso di ogni elezione per stracciarli qualche mese dopo in cambio dell’ennesima proroga dei sussidi di massa. Certo, ci sono anche quelli che se per caso li dovessero richiamare a lavorare tirerebbero giù tutti i santi del calendario a suon di bestemmioni. “Ma come, proprio io e mia moglie che con due casse integrazioni e un po’ di lavoretti in nero… stiamo proprio bene così”. Non bisogna generalizzare, ovviamente, ci sono anche quelli così ma i più che colpe hanno se quella fabbrica non ha futuro e continuano a tenerli lì nel limbo di color che son sospesi e condannati all’attesa di una pensione che ogni volta si allontana un po’ dimagrendo nei valori reali? Al contempo la fabbrica va in malora, destinata all’oblio di capannoni da abbattere, veleni che si sbriciolano e bonifiche promesse e mai realizzate.
Tutti con il cappello in mano a chiedere elemosine
La vera domanda da fare sarebbe: ma quelli che potrebbero decidere di cambiare veramente verso, che fanno? Vanno ogni volta con il piattino in mano a elemosinare un investimento purchessia, ci manca solo l’inchino alla Fantozzi ragionier Ugo e un “come è buono lei!” sussurrato e sbiascicato. Prendete la storiaccia fetida del rigassificatore “Golar Tundra” poi ribattezzato “Italis Lng”: se non fosse stato per la sollevazione di una parte illuminata della popolazione avrebbero fatto anche prima a piazzarlo lì per sempre come adesso stanno provando a fare in silenzio in barba a una concessione temporanea di tre anni che al momento opportuno allungheranno fregandosene delle possibili proteste di una comunità fiaccata e delusa. Cosa hanno fatto quelli che potevano fare veramente qualcosa? Hanno preso in giro con finte compensazioni (peraltro la compensazione è già l’ammissione di un danno) piazzando lì un impianto pericolosissimo, che blocca l’economia portuale (a parte quella dei soliti noti che ci guadagnano sempre) e che serve solo al brokeraggio speculativo di aziende energetiche che quel gas lo vendono all’estero. La propaganda diffusa dai più parlava di emergenza nazionale, politici legati ai poteri economici andavano in giro a dire che senza quel rigassificatore l’Italia sarebbe rimasta al buio. Mentivano spudoratamente: delle due l’una, se sapevano di mentire sono degli imbroglioni, se non lo sapevano sono incapaci. E non si sa quale sia la cosa peggiore.
Dietro a Snam, tanti Scodinzolanti
Quelli di Snam hanno sparato anche la colossale minchiata di 1.500 posti di lavoro legati al rigassificatore che ovviamente non sono mai arrivati. Ci hanno creduto in troppi, purtroppo, anche se sarebbe bastata una minima inchiesta giornalistica per smontare questa narrazione da Congrega degli Scodinzolanti. Addirittura, nell’ultima campagna elettorale c’era chi proponeva di tenerlo lì per un’altra trentina di anni. Poi, certo, nella fase calda si sono agitati in tanti. C’è ancora chi lotta e chi invece ha smesso di farlo. Sono girate promesse, commesse di spigole d’allevamento da vendere a New York e altre cose di basso lignaggio che purtroppo non sorprendono.
Dal 24 aprile 2014 è stato spento per sempre l’altoforno dell’ex Acciaierie di Piombino, prima pubbliche poi passate nelle mani di tanti “prenditori” (no, non è un refuso, altro che imprenditori, quelli hanno preso e basta). Da allora è stata una colossale presa di giro: prima un improbabile imbroglione giordano spacciato dai boccaloni consapevoli della politica locale come “il salvatore della patria”, poi l’algerino pieno di soldi che quei soldi non poteva farli uscire dal Paese con tanto di cartelli “grazie Rebrab” e di passerelle sul corso di sindacalisti a braccetto con il “padrone”. Infine il ritorno alla prima proposta, quella degli indiani di Jindal che a quel punto hanno cominciato a dettare un’agenda prepotente e arrogante: in sostanza “o si fa come dico io o me ne vado”, ben impersonata dal vice presidente con pieni poteri Marco Carrai, uno che sulla carta d’identità alla voce professione ha scritto “amico di Matteo Renzi” e che di siderurgia al momento di insediarsi sapeva praticamente meno di zero. Tutto chiacchiere e distintivo, arroganza e vuoto spinto.
Imprenditori prepotenti e politica debole
Poi è spuntata la cordata ucraino-friulana Metinvest-Danieli per un altro impianto a ridosso del mare, ennesimo concentrato di arroganza solo vestito un po’ meglio. Hanno presentato anche un progetto apparentemente credibile dal punto di vista industriale, lo stesso che però le popolazioni delle terre inizialmente interessate in Friuli hanno respinto con un ricorso al Tar perché andava a devastare un’area pregiata sul piano ambientale. Ecco, questi simpatici “imprenditori illuminati” hanno pensato bene di chiedere al Tar di avere l’elenco dei cittadini che hanno firmato la petizione “anti” per chiedere loro i danni. E a Piombino pensate che qualcuno abbia detto, durante il primo incontro, “cari signori, ecco un foglio A4 con scritto che prendete l’impegno di non fare qui quello che avete fatto là. O lo firmate o per noi finisce qui!”? Non solo non sono arrivati al foglio da firmare ma si sono ben guardati dal disturbare il manovratore. Si sono genuflessi in un “prego si accomodi, ci dica di cosa ha bisogno…”.
L’esempio di Empoli conforta ma…
Ecco, a Piombino – e non solo a Piombino – sta andando in scena da decenni un ritorno mascherato al feudalesimo, con la comunità locale ridotta a valvassini e valvassori di fronte a novelli vassalli che sono in combutta con il padrone, entità non ben definita ma riconducibile a un potere economico che tende a fregarsene delle regole, come ha provato a fare a Empoli con il disgraziatissimo progetto del gassificatore del Terrafino, respinto (per ora!) grazie a una inattesa sollevazione popolare.
Ecco, finché non si capirà che le ciminiere da abbattere sono quelle mentali, non si andrà da nessuna parte. Le comunità politiche di destra, di centro e di sinistra, invece di combattere per spartirsi le spoglie dei residui di un potere su una terra che vive di sussidi e di pensioni, dovrebbero avere il coraggio di armare una rivolta pacifica e dire al governo centrale e a tutti gli altri che possono fare qualcosa: “Signore e signori, questa è una terra depredata da più di un secolo, dove tutti hanno preso e ben poco hanno dato. Ci sono ettari e ettari di terreni inquinati, una discarica piena di robaccia che non si sa come sarà bonificata…”. Non c’è stato nessuno che abbia detto: “ora ci dovete risarcire e poi si parla di altro”. No, tutti con il cappello in mano e a festeggiare l’abbattimento di ciminiere, la cui scomparsa libera l’orizzonte da un passato da non rimpiangere. Purtroppo non lo libera dalla prigionia e dalla sudditanza che tiene lontani i più dalla pretesa della ragione e dell’essere cittadini e non sudditi. Ancor peggio, i pochi imprenditori che hanno provato a investire sono stati quasi scoraggiati: c’è chi è arrivato perfino a fare in Austria quello che avrebbe potuto fare tra Piombino e Venturina; o chi aveva un bel cantiere navale e l’ha spostato a Marina di Carrara, esasperato dalle lungaggini burocratiche. Come al solito, proni con i forti, energici con i deboli.
Basta con i territori depredati, sarebbe ora di cominciare a guardare avanti, oltre le ciminiere che offuscano mentalità devastate da residui di ideologie e dal pensiero diffuso che debba arrivare qualcuno da lontano a portare lavoro, fumo ed elemosina in stipendi striminziti. Come se non bastasse la lezione del passato… siamo ancora al punto di partenza. Purtroppo. E le ciminiere peggiori, quelle che offuscano le menti, non solo sono ancora lì. Ma nessuno ha ancora pensato a provare a demolirle.
Sì, dividetevi pure fra nostalgici, futuristi, “rimpiantisti” e quant’altro a proposito delle ciminiere della fetida ex centrale Enel di Tor del Sale che fino a poche ore fa devastava il panorama del golfo tra Piombino e Follonica.
Dividetevi e continuate a non rendervi conto che le ciminiere che devono crollare per guardare al futuro non sono solo quelle fisiche ma quelle mentali. Andate pure a festeggiare o a lacrimare di fronte al panorama che cambia, alle ciminiere che si sbriciolano. Poi, però, anche basta con la retorica del ricordo e della nostalgia, dell’“industrialismo” e del “turistismo” che si scontrano. Non serve a niente, anzi è proprio quello il problema. E non è solo una questione piombinese, val la pena di raccontarla bene perché è un paradigma bloccato che vale un po’ ovunque.
Il Keu, la Multiutility, il gassificatore: politica prona
Nel distretto delle concerie cosa è accaduto con lo scandalo Keu (i fanghi tossici di conceria sparsi ovunque con fetidi intrecci tra politica e criminalità organizzata)? Quanti si sono stracciati le vesti di fronte al più grande scandalo politico-criminale della Toscana? I soliti pochi “rompicoglioni” e pochi altri. E di fronte al ratto bipartisan dell’acqua pubblica mascherato da Multiutility con tanto di amministratore delegato prepotente che detta l’agenda ai sindaci? Qui almeno la protesta c’è stata e alla fine è andata un po’ meglio di come poteva sembrare. Ma è solo un’illusione: in vista delle prossime elezioni regionali il riallineamento è già cominciato. Perfino il sindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi (Fratelli d’Italia) è passato dall’essere il principale censore al principale sponsor della scellerata iniziativa di saccheggio delle tasche dell’utente non più cittadino, partorita nel Pd fiorentino-pratese-empolese in un intreccio di residui di renzismo e rampantismo di sindaci alla ricerca di una nuova sedia da scaldare.
La lezione che nessuno vuole comprendere
Ecco, prendiamo come esempio la storia di Piombino perché Piombino da decenni è prigioniera di un passato che ha illuso con il finto benessere della borghesia operaia legata alle acciaierie che negli anni settanta del secolo scorso davano lavoro perfino a operai che venivano qui con gli autobus dal Monte Amiata. Era la Piombino delle settimane bianche e delle vacanze a portata di tutti, dei negozi che facevano grandi affari e di tanti ex commercianti che all’epoca hanno prosperato su un bel giro di guadagni e oggi si lamentano per le pensioni “da fame” che non sono il segno di una politica miope ma più semplicemente del fatto che ai tempi si sono tenuti quasi tutti i soldi incassati e hanno pagato i contributi al minimo.
Piombino è prigioniera di una salute precaria, indagini epidemiologiche serie non ne sono mai state fatte ma anche un esame empirico del livello di tumori all’apparato respiratorio dovrebbe destare più di un allarme. No, niente di tutto questo. Piombino è prigioniera di un’illusione del tempo perduto. E, soprattutto, di un “cassintegratismo” eterno e triste, che non è colpa di chi lo subisce ma di una politica menefreghista, che promette accordi di programma a ridosso di ogni elezione per stracciarli qualche mese dopo in cambio dell’ennesima proroga dei sussidi di massa. Certo, ci sono anche quelli che se per caso li dovessero richiamare a lavorare tirerebbero giù tutti i santi del calendario a suon di bestemmioni. “Ma come, proprio io e mia moglie che con due casse integrazioni e un po’ di lavoretti in nero… stiamo proprio bene così”. Non bisogna generalizzare, ovviamente, ci sono anche quelli così ma i più che colpe hanno se quella fabbrica non ha futuro e continuano a tenerli lì nel limbo di color che son sospesi e condannati all’attesa di una pensione che ogni volta si allontana un po’ dimagrendo nei valori reali? Al contempo la fabbrica va in malora, destinata all’oblio di capannoni da abbattere, veleni che si sbriciolano e bonifiche promesse e mai realizzate.
Tutti con il cappello in mano a chiedere elemosine
La vera domanda da fare sarebbe: ma quelli che potrebbero decidere di cambiare veramente verso, che fanno? Vanno ogni volta con il piattino in mano a elemosinare un investimento purchessia, ci manca solo l’inchino alla Fantozzi ragionier Ugo e un “come è buono lei!” sussurrato e sbiascicato. Prendete la storiaccia fetida del rigassificatore “Golar Tundra” poi ribattezzato “Italis Lng”: se non fosse stato per la sollevazione di una parte illuminata della popolazione avrebbero fatto anche prima a piazzarlo lì per sempre come adesso stanno provando a fare in silenzio in barba a una concessione temporanea di tre anni che al momento opportuno allungheranno fregandosene delle possibili proteste di una comunità fiaccata e delusa. Cosa hanno fatto quelli che potevano fare veramente qualcosa? Hanno preso in giro con finte compensazioni (peraltro la compensazione è già l’ammissione di un danno) piazzando lì un impianto pericolosissimo, che blocca l’economia portuale (a parte quella dei soliti noti che ci guadagnano sempre) e che serve solo al brokeraggio speculativo di aziende energetiche che quel gas lo vendono all’estero. La propaganda diffusa dai più parlava di emergenza nazionale, politici legati ai poteri economici andavano in giro a dire che senza quel rigassificatore l’Italia sarebbe rimasta al buio. Mentivano spudoratamente: delle due l’una, se sapevano di mentire sono degli imbroglioni, se non lo sapevano sono incapaci. E non si sa quale sia la cosa peggiore.
Dietro a Snam, tanti Scodinzolanti
Quelli di Snam hanno sparato anche la colossale minchiata di 1.500 posti di lavoro legati al rigassificatore che ovviamente non sono mai arrivati. Ci hanno creduto in troppi, purtroppo, anche se sarebbe bastata una minima inchiesta giornalistica per smontare questa narrazione da Congrega degli Scodinzolanti. Addirittura, nell’ultima campagna elettorale c’era chi proponeva di tenerlo lì per un’altra trentina di anni. Poi, certo, nella fase calda si sono agitati in tanti. C’è ancora chi lotta e chi invece ha smesso di farlo. Sono girate promesse, commesse di spigole d’allevamento da vendere a New York e altre cose di basso lignaggio che purtroppo non sorprendono.
Dal 24 aprile 2014 è stato spento per sempre l’altoforno dell’ex Acciaierie di Piombino, prima pubbliche poi passate nelle mani di tanti “prenditori” (no, non è un refuso, altro che imprenditori, quelli hanno preso e basta). Da allora è stata una colossale presa di giro: prima un improbabile imbroglione giordano spacciato dai boccaloni consapevoli della politica locale come “il salvatore della patria”, poi l’algerino pieno di soldi che quei soldi non poteva farli uscire dal Paese con tanto di cartelli “grazie Rebrab” e di passerelle sul corso di sindacalisti a braccetto con il “padrone”. Infine il ritorno alla prima proposta, quella degli indiani di Jindal che a quel punto hanno cominciato a dettare un’agenda prepotente e arrogante: in sostanza “o si fa come dico io o me ne vado”, ben impersonata dal vice presidente con pieni poteri Marco Carrai, uno che sulla carta d’identità alla voce professione ha scritto “amico di Matteo Renzi” e che di siderurgia al momento di insediarsi sapeva praticamente meno di zero. Tutto chiacchiere e distintivo, arroganza e vuoto spinto.
Imprenditori prepotenti e politica debole
Poi è spuntata la cordata ucraino-friulana Metinvest-Danieli per un altro impianto a ridosso del mare, ennesimo concentrato di arroganza solo vestito un po’ meglio. Hanno presentato anche un progetto apparentemente credibile dal punto di vista industriale, lo stesso che però le popolazioni delle terre inizialmente interessate in Friuli hanno respinto con un ricorso al Tar perché andava a devastare un’area pregiata sul piano ambientale. Ecco, questi simpatici “imprenditori illuminati” hanno pensato bene di chiedere al Tar di avere l’elenco dei cittadini che hanno firmato la petizione “anti” per chiedere loro i danni. E a Piombino pensate che qualcuno abbia detto, durante il primo incontro, “cari signori, ecco un foglio A4 con scritto che prendete l’impegno di non fare qui quello che avete fatto là. O lo firmate o per noi finisce qui!”? Non solo non sono arrivati al foglio da firmare ma si sono ben guardati dal disturbare il manovratore. Si sono genuflessi in un “prego si accomodi, ci dica di cosa ha bisogno…”.
L’esempio di Empoli conforta ma…
Ecco, a Piombino – e non solo a Piombino – sta andando in scena da decenni un ritorno mascherato al feudalesimo, con la comunità locale ridotta a valvassini e valvassori di fronte a novelli vassalli che sono in combutta con il padrone, entità non ben definita ma riconducibile a un potere economico che tende a fregarsene delle regole, come ha provato a fare a Empoli con il disgraziatissimo progetto del gassificatore del Terrafino, respinto (per ora!) grazie a una inattesa sollevazione popolare.
Ecco, finché non si capirà che le ciminiere da abbattere sono quelle mentali, non si andrà da nessuna parte. Le comunità politiche di destra, di centro e di sinistra, invece di combattere per spartirsi le spoglie dei residui di un potere su una terra che vive di sussidi e di pensioni, dovrebbero avere il coraggio di armare una rivolta pacifica e dire al governo centrale e a tutti gli altri che possono fare qualcosa: “Signore e signori, questa è una terra depredata da più di un secolo, dove tutti hanno preso e ben poco hanno dato. Ci sono ettari e ettari di terreni inquinati, una discarica piena di robaccia che non si sa come sarà bonificata…”. Non c’è stato nessuno che abbia detto: “ora ci dovete risarcire e poi si parla di altro”. No, tutti con il cappello in mano e a festeggiare l’abbattimento di ciminiere, la cui scomparsa libera l’orizzonte da un passato da non rimpiangere. Purtroppo non lo libera dalla prigionia e dalla sudditanza che tiene lontani i più dalla pretesa della ragione e dell’essere cittadini e non sudditi. Ancor peggio, i pochi imprenditori che hanno provato a investire sono stati quasi scoraggiati: c’è chi è arrivato perfino a fare in Austria quello che avrebbe potuto fare tra Piombino e Venturina; o chi aveva un bel cantiere navale e l’ha spostato a Marina di Carrara, esasperato dalle lungaggini burocratiche. Come al solito, proni con i forti, energici con i deboli.
Basta con i territori depredati, sarebbe ora di cominciare a guardare avanti, oltre le ciminiere che offuscano mentalità devastate da residui di ideologie e dal pensiero diffuso che debba arrivare qualcuno da lontano a portare lavoro, fumo ed elemosina in stipendi striminziti. Come se non bastasse la lezione del passato… siamo ancora al punto di partenza. Purtroppo. E le ciminiere peggiori, quelle che offuscano le menti, non solo sono ancora lì. Ma nessuno ha ancora pensato a provare a demolirle.