Violenza nel calcio, basta con le lacrime di coccodrillo

16-04-2025 10:12 -

di Franco Pescali

Le immagini che giungono dall'ultimo derby capitolino sono ancora una volta un pugno nello stomaco per chiunque creda nello sport come momento di aggregazione e sana passione. Il bollettino di guerra, con ben ventiquattro tra poliziotti e carabinieri e guardia di finanza feriti negli scontri tra frange estreme delle tifoserie di Roma e Lazio, non è solo una contabilità di infortuni, ma un triste e inaccettabile promemoria di una violenza gratuita e persistente che, troppo spesso, macchia gli eventi sportivi nel nostro paese.

In queste ore, doveroso e sentito è l'abbraccio e la solidarietà verso quei rappresentanti delle forze dell'ordine che, con abnegazione e coraggio, si trovano in prima linea a fronteggiare una minoranza violenta e criminale che nulla ha a che vedere con il vero spirito sportivo. Uomini e donne in divisa che, ogni fine settimana, rischiano la propria incolumità per garantire la sicurezza di tutti, diventando bersaglio di una furia cieca e inaccettabile. Le loro ferite sono le ferite di uno Stato che fatica a imporre la propria autorità e a tutelare chi lo serve con dedizione.

Lascia, poi, un amaro sorriso l'eco delle dichiarazioni politiche che, puntualmente dopo ogni episodio di violenza, si levano indignate promettendo provvedimenti severi. Sono anni, ormai decenni, che la litania si ripete, attraversando governi di diverso colore politico. Eppure, la realtà dei fatti ci consegna un quadro desolante: le misure concrete e incisive per debellare questi fenomeni di violenza e criminalità organizzata, annidati dietro la facciata del tifo, sembrano non arrivare mai.

Le inchieste delle Direzioni Distrettuali Antimafia (DDA) e i rapporti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) sono lì a testimoniare, da tempo, la profonda infiltrazione di sodalizi mafiosi e di estrema destra nel mondo del calcio. Un sistema perverso che va ben oltre la semplice rivalità sportiva, abbracciando attività illecite come il bagarinaggio, il controllo dei tornelli e dei parcheggi, l'organizzazione delle trasferte, le scommesse clandestine, droga, fino ad arrivare a episodi di pestaggi, ferimenti e, nei casi più estremi, omicidi. Un universo criminale che sfrutta la passione calcistica come copertura e terreno fertile per i propri affari sporchi.

Se davvero ci consideriamo uno Stato con la "S" maiuscola, forse è giunto il momento di anteporre la tutela dell'Ordine Pubblico agli appetiti economici legati ai diritti televisivi e agli interessi di parte. La domanda sorge spontanea: se il Prefetto di Roma avesse avuto la determinazione di vietare la partita in notturna, una fascia oraria notoriamente più a rischio per l'ordine pubblico, quanto sarebbe durata la sua decisione? Quante pressioni sarebbero piovute sul Ministro dell'Interno dai palazzi della politica? La risposta, purtroppo, appare fin troppo scontata.

Le soluzioni, in realtà, esistono. Richiedono, però, una volontà politica ferrea, un approccio multidisciplinare che coinvolga forze dell'ordine, magistratura, istituzioni sportive e società civile. Servono leggi più severe, controlli più efficaci, una maggiore responsabilizzazione delle società calcistiche e, soprattutto, un cambio di mentalità culturale che isoli e condanni senza esitazioni ogni forma di violenza e illegalità legata al calcio.

In questo scenario desolante, un barlume di speranza e un motivo di orgoglio giungono dalla nostra realtà empolese. Da anni, la tifoseria azzurra si distingue per la sua correttezza e passione civile, dimostrando che è possibile vivere il calcio in modo sano e rispettoso. E non è un caso che la gestione degli eventi sportivi di Serie A ad Empoli avvenga con efficacia grazie all'impegno di un Commissariato di Polizia e di un Comando di Compagnia dei Carabinieri. Questo dato, spesso sottovalutato, è un chiaro segnale dell'efficienza e della professionalità delle forze dell'ordine del nostro territorio e della maturità della nostra comunità sportiva.

Dovremmo ricordarcelo più spesso, questo modello virtuoso, come un esempio concreto che dimostra che un altro calcio è possibile. Un calcio senza violenza, senza paura, dove la passione sportiva sia l'unico protagonista e dove le forze dell'ordine possano svolgere il loro lavoro senza dover temere per la propria incolumità. Il derby di Roma sia l'ennesimo, doloroso, monito per un cambio di rotta necessario e non più procrastinabile.