Keu, adesso il Tar mette a rischio l'operazione-bonifica
29-04-2024 07:00 - Cronaca
Una sentenza del Tar mette a rischio le bonifiche delle aree contaminate dal keu? “Non chi ci ha trasportato i rifiuti speciali ma chi avrebbe dovuto gestirli, stoccarli, smaltirli e perfino trasformarli per evitare che diventassero veleni è responsabile dell'inquinamento. E se il responsabile si rifiuta di riparare al danno ambientale, a farlo dovrà essere l'amministrazione pubblica”. Così, un'inchiesta a firma Mario Neri, sull'edizione del quotidiano Il Tirreno di oggi, 29 aprile 2024, racconta quel che è accaduto in un ricorso che due ditte della zona di Arezzo avevano presentato avverso la Regione Toscana sulla questione dei rifiuti speciali che riconducono anche alla vicenda del Keu, rifiuto speciale utilizzato nella realizzazione di tratti della nuova 429 nel territorio dell'Empolese.
Secondo quel che dice, in sintesi, il tribunale amministrativo - il Tar - è che le responsabilità e la “riparazione” del danno ambientale, cioè la bonifica (nel caso specifico relativo al sito di stoccaggio di Bucine, dov'erano stati inviati rifiuti speciali per anni). potrebbero ricadere su Regione, province e Comuni.
Questa sentenza, emessa il 10 aprile, potrebbe essere una leva per permettere alle aziende private di sottrarsi al dovere al quale sono state chiamate, perché – sempre secondo il Tirreno - accorpando un ricorso simile presentato anche dal consorzio Aquarno di Santa Croce sull'Arno, potrebbe offrire anche ai conciatori del Cuoio gli stessi benefici.
E in effetti, a distanza di pochi giorni, (questa volta è il quotidiano La Nazione che scrive), il "Tar ha accolto i ricorsi di Aquarno e Consorzio Depuratore di Santa Croce, contro la Regione, che aveva intimato loro di sostenere i costi della bonifica del sito Lerose a Bucine di Arezzo, ritenendoli non corresponsabili nella fase successiva, cioè nello smaltimento. E con questa sentenza ha annullato il provvedimento della Regione. Secondo il Tar, Aquarno non conferiva Keu a Bucine ma solo nel sito di Gello di Pontedera che era abilitato a ricevere quel materiale in virtù dell'integrazione dell'A.i.a. – vale a dire una autorizzazione integrata ambientale, documentazione di cui necessitano alcune aziende per potersi uniformare ai principi di prevenzione e riduzione integrante dell'inquinamento dettati dall'Unione europea - da parte della provincia di Pisa. Cosa avvenuta con un atto che risale al 2012".
Aquarno, è la sintesi della sentenza, " poneva in essere correttamente il conferimento del keu a Pontedera – descrive la sentenza del Tar – ed era corretta la compilazione dei formulari. L' A.i.a. rilasciata a Lerose per Pontedera imponeva di sottoporre a test di cessione tutti i prodotti in uscita dall'impianto ma non i fanghi in ingresso. Acquarno poteva conferirli senza l'esecuzione di previo test di cessione dei rifiuti per l'attività di recupero costituita dalla realizzazione di materiale per l'edilizia, come da propria autorizzazione A.i.a".
Quindi, il trasporto dei fanghi da Pontedera a Bucine è da imputare a Lerose.
L'inchiesta del Tirreno, racconta che questa sentenza potrebbe scardinare l'iter di pianificazione delle bonifiche di almeno dieci dei 13 siti toscani (tra i quali quello che riguarda il tratto di strada all'altezza della frazione empolese di Brusciana) inquinati con rifiuti speciali provenienti dall'impianto Ecoespanso che fa capo ai conciatori di Santa Croce sull'Arno.
Materiale che era stato trasportato da Francesco Le Rose, calabrese di Cutro ma residente in provincia di Arezzo – amministratore unico della Lerose srl e della Kyterion (con quest'ultima azienda gestiva il depuratore di Gello, a Pontedera dove arrivavano i fanghi delle concerie santacrocesi, per essere trasformati in keu da smaltire, successivamente come rifiuti speciali). Lo smaltimento “alternativo” era un'operazione che, per i giudici, avrebbe consentito di far risparmiare Aquarno sullo smaltimento di quel rifiuto speciale.
La conclusione dell'articolo del giornalista Mario Neri è lineare: se anche altri privati a cui la Regione e i Comuni hanno ordinato la bonifica applicassero il principio di questa sentenza, salterebbero i tempi della programmazione di bonifica stilati dalla Regione.
Perché? I giudici del Tar hanno scritto nella sentenza che doveva essere la Lerose ad accertarsi della qualità dei rifiuti e a garantire il loro uso per quel che, successivamente, è stato fatto (nel caso della 429, la realizzazione di strade). Lerose doveva fare gli appositi test di controllo e la certificazione.
Quindi se vale il principio stabilito dal Tar per la questione Bucine, l'argomento della sentenza potrebbe essere valido anche per chi, quel keu, ha acquistato per utilizzarlo. Secondo tutto questo, della bonifica dovrebbe occuparsi solo la Lerose srl, che però, ha già dichiarato dall'inizio di questa vicenda che non ne vuol sapere fino al termine del processo.
Secondo quel che dice, in sintesi, il tribunale amministrativo - il Tar - è che le responsabilità e la “riparazione” del danno ambientale, cioè la bonifica (nel caso specifico relativo al sito di stoccaggio di Bucine, dov'erano stati inviati rifiuti speciali per anni). potrebbero ricadere su Regione, province e Comuni.
Questa sentenza, emessa il 10 aprile, potrebbe essere una leva per permettere alle aziende private di sottrarsi al dovere al quale sono state chiamate, perché – sempre secondo il Tirreno - accorpando un ricorso simile presentato anche dal consorzio Aquarno di Santa Croce sull'Arno, potrebbe offrire anche ai conciatori del Cuoio gli stessi benefici.
E in effetti, a distanza di pochi giorni, (questa volta è il quotidiano La Nazione che scrive), il "Tar ha accolto i ricorsi di Aquarno e Consorzio Depuratore di Santa Croce, contro la Regione, che aveva intimato loro di sostenere i costi della bonifica del sito Lerose a Bucine di Arezzo, ritenendoli non corresponsabili nella fase successiva, cioè nello smaltimento. E con questa sentenza ha annullato il provvedimento della Regione. Secondo il Tar, Aquarno non conferiva Keu a Bucine ma solo nel sito di Gello di Pontedera che era abilitato a ricevere quel materiale in virtù dell'integrazione dell'A.i.a. – vale a dire una autorizzazione integrata ambientale, documentazione di cui necessitano alcune aziende per potersi uniformare ai principi di prevenzione e riduzione integrante dell'inquinamento dettati dall'Unione europea - da parte della provincia di Pisa. Cosa avvenuta con un atto che risale al 2012".
Aquarno, è la sintesi della sentenza, " poneva in essere correttamente il conferimento del keu a Pontedera – descrive la sentenza del Tar – ed era corretta la compilazione dei formulari. L' A.i.a. rilasciata a Lerose per Pontedera imponeva di sottoporre a test di cessione tutti i prodotti in uscita dall'impianto ma non i fanghi in ingresso. Acquarno poteva conferirli senza l'esecuzione di previo test di cessione dei rifiuti per l'attività di recupero costituita dalla realizzazione di materiale per l'edilizia, come da propria autorizzazione A.i.a".
Quindi, il trasporto dei fanghi da Pontedera a Bucine è da imputare a Lerose.
L'inchiesta del Tirreno, racconta che questa sentenza potrebbe scardinare l'iter di pianificazione delle bonifiche di almeno dieci dei 13 siti toscani (tra i quali quello che riguarda il tratto di strada all'altezza della frazione empolese di Brusciana) inquinati con rifiuti speciali provenienti dall'impianto Ecoespanso che fa capo ai conciatori di Santa Croce sull'Arno.
Materiale che era stato trasportato da Francesco Le Rose, calabrese di Cutro ma residente in provincia di Arezzo – amministratore unico della Lerose srl e della Kyterion (con quest'ultima azienda gestiva il depuratore di Gello, a Pontedera dove arrivavano i fanghi delle concerie santacrocesi, per essere trasformati in keu da smaltire, successivamente come rifiuti speciali). Lo smaltimento “alternativo” era un'operazione che, per i giudici, avrebbe consentito di far risparmiare Aquarno sullo smaltimento di quel rifiuto speciale.
La conclusione dell'articolo del giornalista Mario Neri è lineare: se anche altri privati a cui la Regione e i Comuni hanno ordinato la bonifica applicassero il principio di questa sentenza, salterebbero i tempi della programmazione di bonifica stilati dalla Regione.
Perché? I giudici del Tar hanno scritto nella sentenza che doveva essere la Lerose ad accertarsi della qualità dei rifiuti e a garantire il loro uso per quel che, successivamente, è stato fatto (nel caso della 429, la realizzazione di strade). Lerose doveva fare gli appositi test di controllo e la certificazione.
Quindi se vale il principio stabilito dal Tar per la questione Bucine, l'argomento della sentenza potrebbe essere valido anche per chi, quel keu, ha acquistato per utilizzarlo. Secondo tutto questo, della bonifica dovrebbe occuparsi solo la Lerose srl, che però, ha già dichiarato dall'inizio di questa vicenda che non ne vuol sapere fino al termine del processo.
Cosa significa? Che per attuare l'iter deciso e comunicato ai cittadini interessati, l'operazione dovrà essere svolta dalle amministrazioni pubbliche, che se non potranno rivalersi sui soggetti ritenuti responsabili, dovranno pagare di tasca loro. Cioè con i soldi di tutti noi.
Anche se, l'assessora Monia Monni, ribadisce – nella stessa edizione odierna del quotidiano livornese – che la Regione farà ricorso al Consiglio di Stato, avendo elementi molto saldi per far valere le proprie ragioni.
La Regione Toscana si è mossa, già dal giugno del 2023 con variazioni di bilancio in corso e stanziamenti previsti per i due anni successivi, per un totale di quasi 15 milioni per il risanamento di Bucine, Pontedera ed Empoli. Soldi che, ovviamente, non saranno sufficienti a garantire tutte le opere di bonifica delle quali si sta occupando il commissario unico per la bonifica delle discariche, il generale Giuseppe Vadalà.
Il Comune di Empoli si è costituito parte civile al processo penale che nell'udienza preliminare del 12 aprile è stato subito rinviato – per alcuni difetti di notifica – al 10 maggio. Ventiquattro gli imputati. E lo stesso Comune, con la Regione, si sono fatti carico della realizzazione di un acquedotto nel Pian grande per un allaccio più sicuro per i residenti.
Nelle scorse settimane c'è stato anche una discussione del tema, voluta dalla sindaca Brenda Barnini con una riunione della commissione consiliare congiunta con i tencici Arpat.
Sono stati discussi i dati Arpat (“non sono mai stati riscontrati elementi di pericolo”). Nell'Empolese – secondo i rilievi dell'Aenzia per l'ambiente – non ci sono llivelli pericolosi di inquinanti. Sono stati monitorati 12 dei 30 pozzi privati e non sono state riscontrate criticità.
Dal rilevato stradale, invece, sarebbero emersi “dati più complessi”:sotto la strada è stato rilevato cormo e animonio riconducibili alla presenza di keu. Materiale che se bagnato sembrerebbe rilasciare dei metalli che, però, non è stato rilevato nelle acque sotterranee. Questo fa supporre ai tecnici che – o il materiale è stato ben “confezionato”, cioè impacchettato o che i rilasci siano attutiti da ciò che c'è sotto, cioè un ampio strato di argilla che fa da tappo.
Questo secondo i tecnici Arpat potrebbe portare a un unico rischio: il rilascio di eluato che inquini le acque. Ma ciò non si sarebbe ancora verificato.
I rilievi a cui si riferisce Arpat riguardano il 2023. Sono in corso altri esiti i cui risultati non sono ancora pubblicati.
Anche se, l'assessora Monia Monni, ribadisce – nella stessa edizione odierna del quotidiano livornese – che la Regione farà ricorso al Consiglio di Stato, avendo elementi molto saldi per far valere le proprie ragioni.
La Regione Toscana si è mossa, già dal giugno del 2023 con variazioni di bilancio in corso e stanziamenti previsti per i due anni successivi, per un totale di quasi 15 milioni per il risanamento di Bucine, Pontedera ed Empoli. Soldi che, ovviamente, non saranno sufficienti a garantire tutte le opere di bonifica delle quali si sta occupando il commissario unico per la bonifica delle discariche, il generale Giuseppe Vadalà.
Il Comune di Empoli si è costituito parte civile al processo penale che nell'udienza preliminare del 12 aprile è stato subito rinviato – per alcuni difetti di notifica – al 10 maggio. Ventiquattro gli imputati. E lo stesso Comune, con la Regione, si sono fatti carico della realizzazione di un acquedotto nel Pian grande per un allaccio più sicuro per i residenti.
Nelle scorse settimane c'è stato anche una discussione del tema, voluta dalla sindaca Brenda Barnini con una riunione della commissione consiliare congiunta con i tencici Arpat.
Sono stati discussi i dati Arpat (“non sono mai stati riscontrati elementi di pericolo”). Nell'Empolese – secondo i rilievi dell'Aenzia per l'ambiente – non ci sono llivelli pericolosi di inquinanti. Sono stati monitorati 12 dei 30 pozzi privati e non sono state riscontrate criticità.
Dal rilevato stradale, invece, sarebbero emersi “dati più complessi”:sotto la strada è stato rilevato cormo e animonio riconducibili alla presenza di keu. Materiale che se bagnato sembrerebbe rilasciare dei metalli che, però, non è stato rilevato nelle acque sotterranee. Questo fa supporre ai tecnici che – o il materiale è stato ben “confezionato”, cioè impacchettato o che i rilasci siano attutiti da ciò che c'è sotto, cioè un ampio strato di argilla che fa da tappo.
Questo secondo i tecnici Arpat potrebbe portare a un unico rischio: il rilascio di eluato che inquini le acque. Ma ciò non si sarebbe ancora verificato.
I rilievi a cui si riferisce Arpat riguardano il 2023. Sono in corso altri esiti i cui risultati non sono ancora pubblicati.