21 Novembre 2024
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I morti sul lavoro, le colpe della politica e l’indifferenza diffusa

17-02-2024 11:37 - Opinioni
di Stefano Tamburini
Volendo, basterebbe da solol'articolo 1 della Costituzionedella Repubblicaitaliana, la nostra legge fondamentale: “L'Italia è una Repubblica democratica fondatasul lavoro...”. Poi, per esser più energici, potremmo aggiungerel'articolo 4: “La Repubblica riconoscea tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. E ancora, l'articolo 35: “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni...”.

E poi, puntando a scuotere gli ignavi, potremmo arrivare fino all'articolo 36: “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionataalla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.

Basterebbe questo per poter dire – e non solo oggi che si piangono altri morti sul lavoro nel cantiere Esselunga di Firenze – che non siamo solo difronte a uno scambio prestazione-reddito. No, il lavoro è dignità:«Un uomo senza lavoro è un uomo umiliato», ebbe a dire EnzoBiagi, grande giornalista epurato per motivi politici all'epoca del dominio di Silvio Berlusconi.

Ecco, umiliato è la parola giusta, quella da usare in un giorno come questo nel quale purtroppo c'è ben poco da essere sereni. E non solo perché a Firenze è accaduto quello che è accaduto, e non solo perché ormai la media nazionale è vicina alle quattro persone che ogni giorno escono di casa per andare a lavorare e in quella casa non ci torneranno mai più. C'è poco da essere sereni, non tanto perché anche questi morti sono intrisi nelle peggiori regole disattese, nel subappalto selvaggio e nelle regole minime di sicurezza ignorate. C'è poco da essere sereni, perché le ultime generazioni della politica, con poche e lodevoli eccezioni, hanno fatto strame dei diritti, con riforme alla rovescia che invece di elevare la precarietà alla certezzadel tempo indeterminato hanno fatto il contrario. E, al tempo stesso, hanno riportato indietro l'orologio dei diritti dalle garanzie del tetto agli straordinari al cottimo fatto regola con le nuove schiavitù dei fattorini e dei contratti a chiamata.

Il caporalato ormai è la realtà, anche se ha la faccia di una app sullo smartphone. E l'aver scatenato una guerra infame fra ultimi e penultimi contro terzultimi ha fatto il resto. Oggi il mondo del lavoro è una giungla, tradito da una politica distratta o schiava di un rapporto perverso con i grandi poteri economici, con gli interessi particolari che prevalgono su quelli più generali.

Ecco, vorrei andare oltre la tragedia di Firenze e fare un ragionamento più generale, più ampio, oltre alla vergognosa alzata di scudi di esponenti di governo che odiano il dissenso e stroncano sul nascere ogni tentativo di approfondimento sugli effetti delle devastanti norme inserite nel nuovo codice degli appalti.

Oggi paghiamo proprio il rapporto perverso che non solo questo governo, anche i precedenti, ha instaurato a danno dei lavoratori e in favore dei potentati economici. Oggi abbiamo a che fare con una scarsa qualità del Sistema politico, un'approssimazione – quando non è qualcosa di peggio – che schiaccia le buone intenzioni di quelli che ancora avrebbero voglia ecapacità per onorare la nostra legge fondamentale che tutela un bene primario.

Oggi purtroppo viviamo inun'epoca buia, che corre all'indietro, nella quale non ha senso ragionare con vecchi schemi. Non solo sinistra contro destra, fatto salvo il limite rappresentato dall'antifascismo e dalla tutela dei diritti umani e civili. Non solo lavoratori contro imprenditori.

L'emergenza Covid a suo tempo ci ha offerto storie di imprenditori che hanno anticipato gli stipendi a lavoratori costretti a rimanere inoperosi anche inattesa di sussidi solo annunciati. E storie di imprenditori che hanno trovato scorciatoie per drenare risorse non dovute. Ci ha regalato furbetti, sceriffi e piagnoni. Insomma, non bisogna generalizzare. Piuttosto dovremmo essere in grado di separare il grano dal loglio.

I nodi in quell'occasione sono venuti al pettine, perché le mancate risposte fecero emergere l'inadeguatezza di un Sistema politico che negli anni ha rinunciato agli anticorpi minimi e fondamentali.

E che è passato dall'essere quello che – nell'epoca nefasta della prima Tangentopoli degli anni Novanta – chiedeva al Sistema economico soldi in cambio di ciò che aveva deciso di concedere senza farsi dettare l'agenda, a quello che oggi elemosina risorse per favori inconfessabili. Un Sistema che non è capace di fare argine a niente, che non ha anticorpi pronti a respingere il demone tentatore, che non oppone ragione alle furbizie.

Non è il solo aspetto deteriore di giornate di lutto come queste. Vorrei allargare il campo. In passato ho già avuto modo di evidenziare le debolezze del Sistema agli albori di una devastante inchiesta sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Toscana.

Come in quei primi frangenti nonvoglio entrare nel merito delle accuse ma fermarmi alle storture di un pubblico potere che abdica al suo compito fondamentale: quello di proteggere gli interessi generali dagli attacchi di quelli particolari.

È emblematica quell'inchiesta, nella parte che va a fondo sullo smaltimento illegale di fanghi di concerie, in spregio alla salute, con sversamenti in terreni a ridosso di laghi, di campi coltivati, di abitazioni. E con potenziali devastanti ripercussioni sulle condizioni di salubrità generale. Quell'inchiesta, comunque vada a finire il percorso giudiziario, evidenzia l'elusionedi costi di smaltimento che vanno a danno delle risorse al servizio del cittadino.E punta i fari su un Sistema pubblico che è suddito di questi interessi.

C'è da aver paura di una politica che nel suo complesso non riesce da anni a fare da argine contro il degrado delle condizioni di lavoro e ad alzare muri contro le speculazioni e le regole sempre più perverse che allargano la distanza tra ultimi, penultimi e terzultimi e chi magari nel letto se la ride quando c'è una disgrazia – come nel caso del terremoto in Abruzzo del 2009 – pensando a quanti soldi si potranno fare speculando su materiali e adeguamenti in corso d'opera delle somme pattuite per quei lavori.

C'è da aver paura. Non solo per quello che è accaduto in quel cantiere. A crollare da tempo non è più solo una trave di calcestruzzo. A crollare, e non da oggi, sono state le garanzie minime. La misura sarebbe colma da tempo. Solo che, passata l'ondata emotiva, si tornerà di nuovo a far finta di niente, a fare spallucce. Il problema non è rappresentato solo da quelli che se ne approfittano. Ma sono i tanti, troppi, indifferenti.

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