Empoli ormai è una città insicura, non succedeva dagli Anni Settanta
16-09-2024 15:04 - Opinioni
di Leonardo Masi
E’ un dato di fatto che molti cittadini e cittadine empolesi si sentano insicuri nelle strade di questa città, soprattutto nelle zone centrali.
Gli episodi degli ultimi giorni e altri più o meno gravi che si sono succeduti nel corso del tempo ci dicono che questa insicurezza è purtroppo fondata e non può essere vista come pura percezione.
Bisogna risalire agli anni ‘70 (in uno scenario economico e sociale molto diverso da quello attuale) per registrare a Empoli un così forte timore per la propria incolumità fisica.
Certo è che tutte e tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, abbiamo il desiderio di una città in cui si possa spostarsi senza alcun pericolo, senso di insicurezza e zone off-limits. Questo lo diamo per scontato.
Quello che per noi è centrale e su cui marchiamo la nostra impostazione è la necessità di affrontare un problema complesso, attraverso la conoscenza delle cause e concordando con tutti i livelli istituzionali e non, le soluzioni. Un problema che non va banalizzato (perché di banale non c’è nulla) se vogliamo avere una qualche speranza di essere efficaci nella soluzione.
Ad esempio quante e quali sono le sostanze (legali e non) consumate sul nostro territorio? In che fasce di età? Quanto incide questo consumo sulla salute pubblica e sul disagio sociale? Un lavoro di indagine questo nell’interesse di tutta la cittadinanza.
Non avrebbe senso nemmeno accusare l’attuale amministrazione dell’attuale stato di cose e non lo facciamo, anche se dobbiamo marcare una certa tendenza alla semplificazione dei problemi e alla spettacolarizzazione delle “soluzioni”; ne è esempio l’esposizione mediatica dell’abbattimento del muro del parco Mariambini, che, giusto o sbagliato (oneroso o meno) che sia, non aggiunge nulla alla sicurezza della città e non poteva essere altrimenti.
Se si pensa di risolvere i problemi con gli spot ci attendono tempi più duri del previsto.
Proviamo ad affrontare il tema di petto e senza lasciare spazio al non detto. Gli spazi di criminalità, soprattutto legati allo spaccio di stupefacenti stanno aumentando.
Il consumo (gli spacciatori ci sono perché ci sono i consumatori) di “nuove” sostanze come metanfetamine, crack, fentanyl, e il larghissimo uso in zona di cocaina, crea problemi anche per altri tipi di sicurezza, basta pensare alla sicurezza stradale e alla violenza domestica contro donne e minori. A questo si aggiunge un ritorno del consumo dell’eroina che striscia nelle fasce giovanili più marginali da decenni.
Certo questo pone come primo punto una risposta a breve termine che di solito si esplicita in più controlli; i controlli ci devono essere e devono essere efficaci, ma non basta dire che devono aumentare quantitativamente. Questo approccio servirebbe ad avere una maggiore sensazione di insicurezza sociale in città e poco altro. Occorre un coordinamento che sposti la repressione della criminalità, micro e macro, su un piano qualitativo.
Chiedere -solo- un intervento repressivo è paragonabile a pensare di curare un problema fisico somministrando solo antidolorifici e non affrontando le cause.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che non possiamo lasciare zone intere sotto il controllo dello spaccio e del degrado, perciò bisogna anche pensare in prospettiva, perché togliere quello spaccio e quel degrado da una zona per vederlo comparire in un’altra non ci sembra un gran risultato.
Certo un quadro normativo che pone tutte le sostanze sullo stesso livello, o quasi, non aiuta, anzi funziona da bancomat per le mafie che possono permettersi enormi guadagni con sostanze che non dovrebbero essere illegali e che invece lo sono. Inoltre una illegalità di questo tipo permette al cliente di trovare negli stessi canali di distribuzione (spaccio) sia cannabis che sostanze farmacologicamente e socialmente più dannose.
Torniamo a Empoli.
L’impressione è che la città sia divisa in zone di spaccio tra bande che commerciano le varie tipologie di droghe e che queste bande siano principalmente su basi di provenienza geografica.
Si rivelano due macro zone in centro: via Marchetti, Via Spartaco Lavagnini e zona Stazione in mano a una banda; via Ridolfi, traverse e parco Mariambini, altra zona e altra banda.
E’quindi una questione etnica?
Secondo noi dire che è solo un problema provenienza geografica è falso, ma negare che esista un problema legato a frange criminali di queste etnie sarebbe irresponsabile.
Bisogna intercettare quelle comunità e cercare di separare la maggior parte degli appartenenti a esse che sono lavoratori onesti e spesso umili e che rischiano di pagare direttamente il peso di un clima repressivo che questa situazione può innescare.
Si tratta di far capire che la connivenza e la mancata presa di distanza verrà pagata maggiormente dai cittadini stranieri onesti che da quelli criminali. Come sempre.
Riteniamo opportuno per prima cosa non negare le difficoltà e la criticità della situazione che la città sta vivendo e che non si è venuta a creare in un giorno, ma nel corso del tempo, nella famosa Empoli luccicosa del “va tutto bene, non demoralizzate i cittadini!”.
Poi si dovrà cercare di separare i gruppi malavitosi dai cittadini connazionali che magari frequentano gli stessi spazi. Si può fare con controlli sui locali e con investimento sui mediatori culturali.
Basterà? Non lo sappiamo, ma è una strategia da tentare.
Ci sono altre due considerazioni che rischiano di andare perdute nel clima dell’emergenza. La prima è che a fronte degli spacciatori emarginati ci sono cittadini perfettamente integrati che col loro SUV vanno a comprare sostanze; quegli empolesi che la mattina si svegliano per andare a lavorare oppure a scuola. Ci sono sempre più giovani, in età sempre più giovanile, con problemi di dipendenze di vario tipo, e sicuramente l’alcool, seppur legale, sembra essere una delle sostanze più abusate.
Per questo ribadiamo che investire sui servizi sociali, sulle scuole, sui servizi contro le dipendenze, sugli operatori di strada, su tutti i possibili servizi a bassa soglia (e ribadiamo che deve essere fatto a fronte di un lavoro di indagine forte sulle dipendenze) è necessario.
Non è semplice né immediatamente risolvibile la situazione, ma per prima cosa apriamo gli occhi, diciamo come stanno le cose.
Sentiamo dire molti slogan "più forze dell'ordine", "più socialità", "abbattiamo il muro". Forse ognuna di queste contiene una parte di verità, ma dobbiamo avere chiaro il quadro e i motivi che ci hanno portato a questa condizione: la mancanza di prospettive per molti giovani, e non solo giovani, che si rifugiano nell'uso di sostanze e in “facili” scorciatoie delinquenziali.
La seconda è il convitato di pietra. Si fa finta di non vedere che su questo territorio c’è stata una continua penetrazione mafiosa che viene da lontano; e pensare che una città che si popola di “lavanderie”, affari poco chiari, ecomafie e connivenze varie poi possa rimanere immune agli effetti della criminalizzazione del tessuto sociale è puerile. Chi si è illuso che da noi sarebbe arrivata solo una mafia in guanti bianchi non ha capito come stanno le cose.
Ultimo non ultimo: la gestione dell’immigrazione e le leggi che la “regolano”: chi viene nel nostro paese fugge spesso da situazioni tragiche in cerca di una vita migliore. L’accoglienza che gli viene data è l’etichetta di “clandestino”,con l'impossibilità di regolarizzazione e quindi di progettualità, di provvedere a sé stessi. Un sistema di gestione dell’immigrazione che non tiene conto delle persone, che ignora problemi culturali importanti e una mancanza strutturale di servizi socio-sanitari e di forze dell'ordine completa il quadro.
In tutto questo molti cercano, a volte eroicamente, nel loro ambito di mettere un freno a una situazione che non ci piace e non piace a nessuno, ma per sperare di arrivare a una soluzione, che è quello che desideriamo, occorre una visione di insieme e un lavoro organico e coordinato in città e nelle frazioni. Il solo volontarismo degli individui o delle associazioni non basta e nemmeno qualche generica invocazione al pugno duro.
Gli episodi degli ultimi giorni e altri più o meno gravi che si sono succeduti nel corso del tempo ci dicono che questa insicurezza è purtroppo fondata e non può essere vista come pura percezione.
Bisogna risalire agli anni ‘70 (in uno scenario economico e sociale molto diverso da quello attuale) per registrare a Empoli un così forte timore per la propria incolumità fisica.
Certo è che tutte e tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, abbiamo il desiderio di una città in cui si possa spostarsi senza alcun pericolo, senso di insicurezza e zone off-limits. Questo lo diamo per scontato.
Quello che per noi è centrale e su cui marchiamo la nostra impostazione è la necessità di affrontare un problema complesso, attraverso la conoscenza delle cause e concordando con tutti i livelli istituzionali e non, le soluzioni. Un problema che non va banalizzato (perché di banale non c’è nulla) se vogliamo avere una qualche speranza di essere efficaci nella soluzione.
Ad esempio quante e quali sono le sostanze (legali e non) consumate sul nostro territorio? In che fasce di età? Quanto incide questo consumo sulla salute pubblica e sul disagio sociale? Un lavoro di indagine questo nell’interesse di tutta la cittadinanza.
Non avrebbe senso nemmeno accusare l’attuale amministrazione dell’attuale stato di cose e non lo facciamo, anche se dobbiamo marcare una certa tendenza alla semplificazione dei problemi e alla spettacolarizzazione delle “soluzioni”; ne è esempio l’esposizione mediatica dell’abbattimento del muro del parco Mariambini, che, giusto o sbagliato (oneroso o meno) che sia, non aggiunge nulla alla sicurezza della città e non poteva essere altrimenti.
Se si pensa di risolvere i problemi con gli spot ci attendono tempi più duri del previsto.
Proviamo ad affrontare il tema di petto e senza lasciare spazio al non detto. Gli spazi di criminalità, soprattutto legati allo spaccio di stupefacenti stanno aumentando.
Il consumo (gli spacciatori ci sono perché ci sono i consumatori) di “nuove” sostanze come metanfetamine, crack, fentanyl, e il larghissimo uso in zona di cocaina, crea problemi anche per altri tipi di sicurezza, basta pensare alla sicurezza stradale e alla violenza domestica contro donne e minori. A questo si aggiunge un ritorno del consumo dell’eroina che striscia nelle fasce giovanili più marginali da decenni.
Certo questo pone come primo punto una risposta a breve termine che di solito si esplicita in più controlli; i controlli ci devono essere e devono essere efficaci, ma non basta dire che devono aumentare quantitativamente. Questo approccio servirebbe ad avere una maggiore sensazione di insicurezza sociale in città e poco altro. Occorre un coordinamento che sposti la repressione della criminalità, micro e macro, su un piano qualitativo.
Chiedere -solo- un intervento repressivo è paragonabile a pensare di curare un problema fisico somministrando solo antidolorifici e non affrontando le cause.
Siamo tutti d’accordo sul fatto che non possiamo lasciare zone intere sotto il controllo dello spaccio e del degrado, perciò bisogna anche pensare in prospettiva, perché togliere quello spaccio e quel degrado da una zona per vederlo comparire in un’altra non ci sembra un gran risultato.
Certo un quadro normativo che pone tutte le sostanze sullo stesso livello, o quasi, non aiuta, anzi funziona da bancomat per le mafie che possono permettersi enormi guadagni con sostanze che non dovrebbero essere illegali e che invece lo sono. Inoltre una illegalità di questo tipo permette al cliente di trovare negli stessi canali di distribuzione (spaccio) sia cannabis che sostanze farmacologicamente e socialmente più dannose.
Torniamo a Empoli.
L’impressione è che la città sia divisa in zone di spaccio tra bande che commerciano le varie tipologie di droghe e che queste bande siano principalmente su basi di provenienza geografica.
Si rivelano due macro zone in centro: via Marchetti, Via Spartaco Lavagnini e zona Stazione in mano a una banda; via Ridolfi, traverse e parco Mariambini, altra zona e altra banda.
E’quindi una questione etnica?
Secondo noi dire che è solo un problema provenienza geografica è falso, ma negare che esista un problema legato a frange criminali di queste etnie sarebbe irresponsabile.
Bisogna intercettare quelle comunità e cercare di separare la maggior parte degli appartenenti a esse che sono lavoratori onesti e spesso umili e che rischiano di pagare direttamente il peso di un clima repressivo che questa situazione può innescare.
Si tratta di far capire che la connivenza e la mancata presa di distanza verrà pagata maggiormente dai cittadini stranieri onesti che da quelli criminali. Come sempre.
Riteniamo opportuno per prima cosa non negare le difficoltà e la criticità della situazione che la città sta vivendo e che non si è venuta a creare in un giorno, ma nel corso del tempo, nella famosa Empoli luccicosa del “va tutto bene, non demoralizzate i cittadini!”.
Poi si dovrà cercare di separare i gruppi malavitosi dai cittadini connazionali che magari frequentano gli stessi spazi. Si può fare con controlli sui locali e con investimento sui mediatori culturali.
Basterà? Non lo sappiamo, ma è una strategia da tentare.
Ci sono altre due considerazioni che rischiano di andare perdute nel clima dell’emergenza. La prima è che a fronte degli spacciatori emarginati ci sono cittadini perfettamente integrati che col loro SUV vanno a comprare sostanze; quegli empolesi che la mattina si svegliano per andare a lavorare oppure a scuola. Ci sono sempre più giovani, in età sempre più giovanile, con problemi di dipendenze di vario tipo, e sicuramente l’alcool, seppur legale, sembra essere una delle sostanze più abusate.
Per questo ribadiamo che investire sui servizi sociali, sulle scuole, sui servizi contro le dipendenze, sugli operatori di strada, su tutti i possibili servizi a bassa soglia (e ribadiamo che deve essere fatto a fronte di un lavoro di indagine forte sulle dipendenze) è necessario.
Non è semplice né immediatamente risolvibile la situazione, ma per prima cosa apriamo gli occhi, diciamo come stanno le cose.
Sentiamo dire molti slogan "più forze dell'ordine", "più socialità", "abbattiamo il muro". Forse ognuna di queste contiene una parte di verità, ma dobbiamo avere chiaro il quadro e i motivi che ci hanno portato a questa condizione: la mancanza di prospettive per molti giovani, e non solo giovani, che si rifugiano nell'uso di sostanze e in “facili” scorciatoie delinquenziali.
La seconda è il convitato di pietra. Si fa finta di non vedere che su questo territorio c’è stata una continua penetrazione mafiosa che viene da lontano; e pensare che una città che si popola di “lavanderie”, affari poco chiari, ecomafie e connivenze varie poi possa rimanere immune agli effetti della criminalizzazione del tessuto sociale è puerile. Chi si è illuso che da noi sarebbe arrivata solo una mafia in guanti bianchi non ha capito come stanno le cose.
Ultimo non ultimo: la gestione dell’immigrazione e le leggi che la “regolano”: chi viene nel nostro paese fugge spesso da situazioni tragiche in cerca di una vita migliore. L’accoglienza che gli viene data è l’etichetta di “clandestino”,con l'impossibilità di regolarizzazione e quindi di progettualità, di provvedere a sé stessi. Un sistema di gestione dell’immigrazione che non tiene conto delle persone, che ignora problemi culturali importanti e una mancanza strutturale di servizi socio-sanitari e di forze dell'ordine completa il quadro.
In tutto questo molti cercano, a volte eroicamente, nel loro ambito di mettere un freno a una situazione che non ci piace e non piace a nessuno, ma per sperare di arrivare a una soluzione, che è quello che desideriamo, occorre una visione di insieme e un lavoro organico e coordinato in città e nelle frazioni. Il solo volontarismo degli individui o delle associazioni non basta e nemmeno qualche generica invocazione al pugno duro.
Leonardo Masi è stato candidato sindaco alle elezioni comunali di Empoli per la coalizione Buongiorno Empoli-SiamoEmpoli-Movimento Cinquestelle