21 Novembre 2024
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Cinquant'anni fa moriva Mario Fabiani, l'empolese che guidò Firenze

14-02-2024 09:16 - Cronaca
Cinquant'anni fa moriva - il 13 febbraio 1974 - Mario Fabiani, empolese, comunista, primo sindaco di Firenze dopo la Liberazione. La sua commemorazione funebre fu fatta, in piazza della Signoria, nel pomeriggio del 15 febbraio.
Una volta Palmiro Togliatti, che non era certo propenso a grandi elogi, lo definì “il miglior sindaco che Firenze abbia mai avuto”.

Mario Fabiani fu il primo sindaco eletto liberamente dai cittadini, dopo la guerra di Liberazione.

Era nato a Empoli il 9 febbraio del 1921. La città stava per subire la pesante reazione fascista agli eventi del 1 marzo del 1921. L'amministrazione socialista salita al palazzo comunale nelle elezioni dell'autunno del 1920 fu deposta tre mesi dopo il suo insediamento, furono distrutte le sedi dei partiti, delle organizzazioni proletarie, ci furono centinaia di arresti. Molti furono costretti ad abbandonare il paese.

Mario Fabiani era nato in una famiglia della piccola borghesia dedita al commercio. Il padre era un socialista. Mario fece le prime quattro classi delle elementari, superò l'esame di ammissione alla prima tecnica, ma la frequentò solo per alcuni mesi. Poi aiutò il padre Raffaele nella piccola bottega che gestiva. A 17 anni venne assunto come rappresentante viaggiatore di prodotti alimentari dalla ditta Rigoli di Empoli. Lavorava nella zona tra Poggibonsi e Colle Val d'Elsa. E coltivava un senso di ribellione e un moto di libertà che lo spingono sulla strada del comunismo. Fu grazie a un cugino, Paolo Vezzi, che si avvicinò alla gioventù comunista che in quel periodo contava oltre duecento iscritti. Tanti. Aveva 18 anni. Mario mostrava solidarietà verso gli sfruttati e i perseguitati, nutriva sentimenti di protesta sociale e politica. Si ribellò alla politica economica del fascismo che puntava al taglio dei salari dei lavoratori. Nel 1930 e nel 1931, in occasione del 1 maggio e del 7 novembre, data in cui si ricorda l'anniversario della rivoluzione d'ottobre, Fabiani organizzò a Empoli delle manifestazioni di protesta che, grazie alla loro riuscita, furono ricordate come i “nuovi fatti di Empoli”.
Raccontava lui stesso, ricordando quel periodo: «Conoscendo quella decisione da un po' di giorni ci mettemmo a distribuire migliaia di manifestini che avevamo stampato alla macchia tra i lavoratori per dire che non dovevano accettare questa diminuzione dei salari, spiegando come il fascismo, mentre aiutava i ricchi da una parte per farli più ricchi, pressava sui lavoratori per farli sempre aggravare nelle loro condizioni di miseria; che bisognava resistere perché c'era la possibilità di dire no al fascismo, particolarmente su queste cose. Così distribuimmo migliaia e migliaia di manifestini, in tutte le fabbriche, inondammo il paese di scritte contro il fascismo per invitare i lavoratori a non cedere alla diminuzione dei salari e insomma facemmo tutto il possibile per organizzare uno sciopero, e lo sciopero del novembre del 1930 riuscì a Empoli in molte fabbriche. Certamente non andò liscio, i fascisti, le squadre fasciste, le squadracce entrarono nelle fabbriche, minacciarono, il lavoro si dovette poi riprendere con la violenza, con il terrore e gli arresti, però lo sciopero c'era stato, la dimostrazione c'era, l'Italia fece capire con questo esempio di Empoli, che si ripeté poi in altre parti di Empoli, che non tutti gli italiani erano d'accordo con il fascismo, e che non tutti erano disposti a piegarsi senza lottare, senza resistere, senza passare al contrattacco».

Fabiani divenne responsabile della gioventù comunista e, in seguito a una serie di arresti, si trovò alla guida del partito comunista empolese. Era in prima fila, nel 1931, nella preparazione di un tentativo di insurrezione che andava attuato con le armi che erano state strappate alle milizie fasciste del posto: l'idea era maturata proprio in seguito a quelle ribellioni empolesi che, nei numeri, davano un quadro della situazione non corrispondente nel resto dell'Italia. L'iniziativa fu bloccata dal partito centrale: nel dicembre del 1931 Fabiani fu costretto ad abbandonare il paese. Lasciata Empoli, andò per un periodi a Poggibonsi (ove lavorò per la ditta Macchi, sempre nel settore degli alimentari), poi a Parigi, dove c'era il nucleo centrale del Partito comunista italiano. E l'anno dopo a Mosca, dove frequentò la scuola leninista, per formare la sua coscienza proletaria, per trasformare quel giovane empolese ribelle in un rivoluzionario professionale.

Quand'era a Parigi, si racconta, ebbe una discussione con Togliatti, inducendolo a rettificare il giudizio su una situazione. Un fatto non usuale. Ebbe scontri, non solo verbali, coi dirigenti della federazione giovanile, che lo prendevano in giro per la vicenda della mancata rivoluzione a Empoli. Tornò in Italia a combattere il fascismo. In seguito a una delazione fu arrestato mentre si trovava a Bologna, dove fu inviato per complere azioni clandestine, fu condannato a 22 anni dal tribunale speciale. In carcere restò 9 anni, fino al 1943.

Liberato tornò a Empoli, collaborò con Giuseppe Rossi (aveva seguito le sue lezioni alla scuola leninista a Mosca, avevano condiviso anche l'esperienza del carcere), fu uno dei principali attori nella guerra di liberazione a Firenze. Fabiani aveva il compito di seguire la situazione nelle fabbriche di Firenze.

Venne designato dal partito come vicesindaco della Giunta comunale insediata dal Cln e presieduta da Gaetano Pieraccini. Fabiani era un comunista preparato a comprendere e accogliere il programma e la politica del partito nuovo che Togliatti nell'ottobre del 1944 lanciò proprio da Firenze: un partito che passava da illegale a legale, destinato a conformarsi secondo le caratteristiche di partito nazionale, di massa e popolare, che aveva subito un mutamento sostanziale nei confronti del problema del governo e della direzione del paese e rappresentava l'indicazione di una nuova via d'accesso al potere della classe operaia e delle masse lavoratrici italiane.

Nel febbraio del 1945, Fabiani scriveva sulla Nazione del Popolo, un supplemento curato dai partiti che facevano parte del Ctln, «Consideriamo la nostra partecipazione alle giunte comunali un passo importante della democrazia, la immissione del popolo nella vita amministrativa del paese. Abbiamo ereditato un passato disastroso e come rappresentanti delle masse sfruttate abbiamo assunto gravi responsabilità. Questo non possiamo nasconderlo. E' estremamente difficile oggi risalire la corrente, non vogliamo illuderci né illudere il popolo. Non vogliamo assumere atteggiamenti demagogici poiché gli applausi non ci farebbero compiere un solo passo innanzi. Vogliamo semplicemente considerare la realtà come essa è a fare il possibile per soddisfare i bisogni del popolo e per tutelarne gli interessi».

Attraverso questo va letta l'esperienza di Fabiani alla guida del Comune di Firenze tra il 1946 e il 1951. Ebbe, in quella tornata elettorale, un gran numero di voti personali. In piazza della Signoria, quando fece il suo primo discorso, accorsero cinquantamila fiorentini. L'elezione di Fabiani a sindaco di Firenze rappresentò un atto di rottura nei confronti del passato in cui, dal'Unità d'Italia in poi, il governo cittadino, era retto da combinazioni politiche liberali-monarchiche o clerico moderate, dalle alleanze tra proprietà fondiarie, aristocrazie finanziarie e borghesia professionista. Situazione che aveva trovato una ulteriore estensione,nel succedersi di potestà fascisti provenienti dalla nobiltà terriera.

Vasco Pratolini scrisse, nelle Cronache fiorentine del 20° secolo, apparse nel fascicolo Politecnico di Elio Vittorini: «Su designazione popolare i rappresentati delle classi povere hanno assunto l'amministrazione delle città. Oltre il 60 per cento degli elettori ha votato per i partiti dei lavoratori. Il comunista Mario Fabiani, ex impiegato, poco più che trentenne, dalle spalle strette e l'occhio pensoso, è sindaco di Firenze. La bandiera rossa sventola su Palazzo Vecchio dal quale i ciompi vennero cacciati a colpi di lancia e pugnale».

Diresse una giunta di coalizione formata da comunisti, socialisti, azionisti e repubblicani. Gestì la ricostruzione postbellica di Firenze, elaborò il piano regolatore generale (approvato dal consiglio comunale nel 1951) e portò il bilancio comunale in pareggio, risanando un disavanzo di 800 milioni di lire. Quel risultato fu frutto di una politica fiscale progressiva, era il segnale che la classe operaia, divenuta forza di governo, si faceva carico dei problemi e degli interessi generali del paese. Il merito di Fabiani e della sua amministrazione fu quello di aver ricostruito un legame di fiducia tra le grandi masse dei cittadino e la loro prima assemblea liberamente eletta, attraverso un rapporto diretto con la popolazione (con le Consulte popolari) e sia attraverso un rapporto democratico con le forze politiche rappresentate nel consiglio comunale.

Portò un modo nuovo di governare, di tolleranza e comprensione. Dirà Fabiani, ripensando a quella esperienza: «Non sono mai stato persuaso che nelle parole dell'avversario ci fosse sempre l'errore. Ho sempre avito la convinzione, ascoltandolo, che anche l'avversario più lontano da noi potesse servire a ripensamenti più profondi delle nostre posizioni, e quindi a un superamento di certi limiti che, indubbiamente esistono in qualunque visione e in qualunque impostazione programmatica di una politica».

Fabiani rimase sindaco fino alle elezioni amministrative del 1951, quando, nelle elezioni tenutesi con sistema maggioritario (una legge elettorale truffaldina, la definirà Ernesto Ragionieri), lo schieramento PCI-PSI, che puntava su di lui, venne sconfitto di misura (meno di 10.000 voti) dallo schieramento centrista DC-PSLI-PRI-PLI, che candidava come sindaco Giorgio La Pira.

Dal 1951 al 1962 fu presidente dell'amministrazione provinciale e presidente dell'Unione Regionale delle province toscane. Nel 1954 fondò la rivista La Regione e fu propulsore della battaglia regionalistica in Toscana.

Nelle liste del Pci fu eletto per tre volte senatore: nel 1963, nel 1968 e nel 1972.

Mario Fabiani morì alle 17 del 13 febbraio del 1974. Aveva 62 anni. Il suo fisico era stato messo a dura prova dai suoi incessanti impegni ma anche dai maltrattamenti ai quali era stato sottoposto dopo il suo arresto nel 1934. Ebbe diverse malattie, fu curato, anche con cure innovative, ma problemi cardiocircolatori ebbero il sopravvento. Morì nella sua casa di Firenze, ma i fratelli Ugo e Aldo, Nunziata e Lola, e la mamma Ida, abitavano ancora a Empoli: la casa di famiglia era in via Chiara al numero 47.

La cerimonia funebre si svolse il 15 febbraio in piazza della Signoria: il corteo partì dalla sede del Pci, in via Alamanni, dov'era stata allestita la camera ardente.
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