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Boicottare gli atenei israeliani, scelta discutibile

17-11-2023 22:37 - Opinioni
Premetto che non sono un intellettuale ma l’appello di circa quattromila docenti universitari in cui si chiede di interrompere qualsiasi collaborazione con gli atenei israeliani mi ha lasciato perplesso. Non ho mai amato gli appelli e le raccolte di firme a favore o contro qualcosa, perché molte volte quelle firme sono state messe sull’onda dell’emotività o usando una metafora tanto cara a Giorgio Gaber messe perché “polli d’allevamento”. Purtroppo, nella nostra storia anche il mondo universitario nel momento delle scelte drammatiche si è allineato per conformismo o per quieto vivere, allo spirito del tempo.

Nel 1931 quando il regime fascista impose ai professori universitari di giurare fedeltà al fascismo solo dodici Professori su milleduecento si rifiutarono di aderire a questo vile ricatto, perdendo cattedra, onori e stipendi, venendo cacciati da Accademie e rendendo impossibile loro una qualsiasi attività intellettuale o scientifica. Coloro che dissero no furono: Ernesto Bonaiuti, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Jacob Benedetto Giorgio Errera, Giorgio Levi Della Vida, Fabio Luzzatto, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Francesco e Edoardo Ruffini, Lionello Venturi, Vito Volterra.

La stessa cosa avvenne nel 1938 con le leggi razziali. Scolari, allievi, presidi e professori di razza ebraica furono espulsi dalle scuole di ogni ordine e grado. Furono rivisti testi scolastici dove vennero esaltate le virtù della razza ariana rispetto alle razze “inferiori”; il razzismo entrò e circolò nelle aule universitarie per anni tra la convivenza e l’indifferenza di molti intellettuali.

Nelle biblioteche pubbliche e universitarie furono tolti dagli scaffali libri di autori ebrei e chiedere un prestito di un “autore proibito” significava essere convocati in Questura per chiarimenti; molti professori ebrei per poter accedere a biblioteche o per pubblicare qualcosa dovettero scegliere pseudonimi o pubblicare in lingua straniera. A guerra finita quando qualche professore ebreo tornò vivo da quella terribile mattanza che era stata la Shoah e rivendicò la cattedra e l’insegnamento il più delle volte si trovò davanti a cavilli giuridici o a grossi imbarazzi da parte dei Senati accademici. Si scrisse la storia di quel ventennio e la nostra cultura ufficiale sposò la tesi del fascismo di Benedetto Croce rifiutando il pensiero di Piero Gobetti sul fascismo come autobiografia della nazione.

I cattivi erano stati i tedeschi, noi avevamo avuto una parte minore. La politica nel primo dopoguerra per motivi legati ai nuovi equilibri strategici distribuì amnistie e amnesie perdonando crimini e criminali e anche la cultura e il mondo accademico si adeguò. Una vera ricerca storica sulle occupazioni italiane in Africa vide la luce solo negli anni 70 grazie all’impegno di un grande giornalista come Angelo Del Boca che ci ha ricordato che anche gli Italiani erano stati colonialisti, che avevano usato contro la popolazione civile i gas, che avevano effettuato massacri di popolazione civile, che avevano creato campi di concentramento.

Purtroppo, ad oggi in troppi manuali scolastici queste verità ancora non si trovano; l’idea dominante è quella del cattivo tedesco e dell’italiano costretto a subire o a seguire. Oggi viviamo in un mondo polarizzato dove prevalgono le forze centrifughe rispetto alle forze centripete. La politica è scontro e non più confronto, il compromesso è una bestemmia; all’ascolto e al rispetto dell’altro si preferisce l’insulto e la rissa verbale.

La dittatura 2.0, ovvero la cancel culture sta mandando al rogo Shakespeare, Cristoforo Colombo, Churchill, perché considerati messaggeri di contenuti razzisti o non politicamente corretti. Le università dovrebbero essere luoghi eletti, dove il confronto, la critica, la cultura aiutino veramente le persone a capirsi; sembra invece che purtroppo stiano diventando luoghi di inquisizione, di roghi intellettuali, di aridità di pensiero. Cosa dovrebbe pensare oggi uno studente israeliano iscritto ad una Università di Tel Aviv che non ha votato l’attuale Premier Israeliano, della cultura occidentale? Perché nel momento in cui la politica non riesce più parlare, le religioni dividono i popoli, anche l’alta cultura sparge sale e distrugge i ponti? È questa la vera missione della cultura?

Io onestamente mi sarei aspettato iniziative diverse. Mi sarei aspettato che Senati Accademici proprio in questi momenti difficili e bui offrissero borse di studio a studenti israeliani e palestinesi per venire a studiare in Italia, in questo difficile momento. Mi sarei aspettato dibattiti anche accesi, ma insegnando ai propri allievi che il rispetto e il confronto devono essere la bussola della vita civile e democratica. Durante il fascismo alcune voci che spezzarono il conformismo che vedeva anche con favore il regime all’estero furono quelle di grandi intellettuali che, come Gaetano Salvemini da una università statunitense, poté continuare a dedicarsi allo studio e all’insegnamento e grazie all’ospitalità data da quelle università far emergere la verità e dare dignità al nostro popolo, oppresso dalla paura e dal conformismo.

Come ci ricordava il poeta Heinrich Heine “la dove si bruciano libri, prima o poi si bruceranno anche gli essere umani”. Nel Medio Oriente in questi giorni le norme della più elementari della convivenza umana sono state calpestate; l’unico barlume che ci rimane per continuarci a chiamarci civiltà è la cultura.

Non distruggiamo anche quella.

Franco Pescali
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