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Anziani e tv, quando il dolore genera dolore

13-10-2023 08:40 - Opinioni
di Franco Pescali

La televisione è uno dei passatempi preferiti dagli anziani soprattutto per quelli over settantacinque e per tutte quelle persone con scarsa mobilità. Di questo fenomeno dovuto al cosiddetto inverno demografico, se ne è accorta la pubblicità che ha individuato nella silver economy un buon target per la vendita di prodotti e servizi. Creme contro le rughe, prodotti per l'incontinenza, crociere per anziani, erano spot che fino a qualche anno fa erano impensabili sui canali televisivi, soprattutto in quegli orari considerati di alto ascolto. Gli anziani da anni sono forti consumatori di programmi video ovvero sono soggetti che guardano la televisione per un tempo che può arrivare a superare le sette ore al giorno. Si tratta, come scrive un recente rapporto di sensemakers, “di un consumo concentrato: in pratica il 30% della popolazione è responsabile del 66% del consumo totale televisivo. Nel 61% dei casi hanno più di sessantacinque anni, la maggioranza di loro è un pubblico femminile, spesso con bassa scolarizzazione, più spesso vive al sud.”

Purtroppo, però queste persone durante la giornata sono spesso soggette a veri e propri bombardamenti di immagini di violenza, femminicidi, guerre, incidenti, tanto ormai da essere definita la televisione del dolore. Siamo passati dalla televisione famigliare e impegnata degli anni 60 di Ettore Bernabei, ad un modo di fare giornalismo più aggressivo, più voyeuristico, più esplicito; sesso, sangue e soldi sembrano essere la bussola di riferimento di molti programmi. L'esposizione prolungata a scene di violenza, la qualità degli ospiti invitati a commentare questi fatti di cronaca nera, molto volte più opinionisti che professionisti, collegamenti dallo studio verso esterni dove vengono registrate le reazioni o le sensazioni di amici o parenti delle vittime, tutti questi elementi in qualche modo creano uno substrato di ansia e frustrazione negli anziani. Oramai sono nate vere e proprie forme di giornalismo come lo storytelling del dolore; il bollettino medico, il collegamento dall'ospedale, immagini raccapriccianti di incidenti stradali, di fatti accaduti in Italia o da ogni parte del pianeta. L'anziano quindi tramite lo schermo elabora una propria idea di forte pericolo e di insicurezza nella e della società, traslando questi sentimenti anche nella propria comunità e nella propria intimità.

Inoltre, ad accrescere questo “male” concorrono fenomeni che ho già toccato in precedenti articoli come l'invecchiamento della popolazione, l'atomizzazione delle famiglie, la perdita di fiducia nei partiti politici e nei sindacati, la minore fiducia nelle istituzioni religiose ed infine la crisi economica. Soprattutto la televisione pubblica forse dovrebbe ripensare alla sua programmazione tenendo conto che i propri ascoltatori non sono solo telecomandi che alzano e abbassano l'audience, ma uomini e donne in carne e ossa. Quando in passato sono stati prodotti programmi televisivi di qualità, lo share questa sigla che, come il PIL o lo Spread,, danno una misura economica ad ogni parte della nostra attività umana, ha ottenuto un ottimo indice di ascolto. Trasmissioni come passe-partout condotta dall'istrionico Philippe Daverio, fu interrotta nel 2011 dopo dieci anni di buoni ascolti; quella bellissima trasmissione senza mai essere banale, portava il telespettatore alla scoperta dell'arte, partendo da un tema specifico e sviluppando poi un canovaccio. Piero Angela con le sue trasmissioni riusciva a tenere incollati milioni di italiani, portandoli dalla base di Cape Canaveral ai laboratori del Cern, divulgando la cultura e la scienza con garbo e professionalità.

Come sistema paese ma soprattutto la politica, dovrebbe interessarsi maggiormente al benessere di tanti suoi concittadini cercando strategie, investendo risorse in programmi adatti a questa fascia di età. Oltre al senso di insicurezza e ansia, queste mini-serie del dolore non aiutano neanche a fermare il decadimento cognitivo; si è oramai appurato che certi programmi televisivi che non stimolano la memoria, il ragionamento, ma che necessitano di un approccio passivo, se “frequentati” per molte ore al giorno possono accelerare fenomeni di decadenza cognitiva. Se vogliamo quindi combattere il senso di insicurezza soprattutto della popolazione più anziana serve un cambio di paradigma anche nei programmi televisivi, almeno che non consideriamo i nostri anziani, solo strumenti per poter vendere loro prodotti pubblicitari. Se proseguiamo in questa bulimia di esposizione a violenze reiterate, sangue, disperazione rischiamo di far entrare la nostra popolazione più fragile in un loop molto pericoloso di “dolore che genera dolore”.

Serve una seria riflessione.

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