Acqua privata, proclami e menzogne della politica al profumo d’affarismo
19-08-2024 20:14 - Opinioni
di Stefano Tamburini
Sì, certo, per privatizzare l’acqua bisognerebbe prima dimostrare di essere i padroni della pioggia, del cielo e dell’arcobaleno, delle sorgenti e delle viscere della Terra. E poi, bisognerebbe anche trovare il modo di aggirare i pronunciamenti di referendum popolari. Anzi, più che di aggirarli si tratterebbe di tradirli mettendo in piedi una vera e propria truffa nei confronti dei cittadini.
Dovrebbe bastare questo per fermare ogni appetito speculativo come quello delle quotazioni in Borsa della gestione dell’acqua. Non è un caso se in molte realtà italiane le Multiutility dei servizi e dell’energia che ci hanno provato si sono sentite rispondere qualcosa del tipo “prendete tutto ma non l’acqua”. Nel cuore della Toscana, nell’area fiorentina, pratese e pistoiese, dove ci sono i maggiori interessi, invece il processo di privatizzazione va avanti senza alcun dibattito vero, a colpi di proclami e di menzogne.
Oggi ogni tentativo di deviazione della rotta tracciata dall’ala affarista del Pd fiorentino-pratese-empolese viene presa come un atto di lesa maestà. Sì, certo, forse l’uscita dell’assessora regionale Alessandra Nardini che vuole sganciare la pisana “Acque spa” dalla Multiutility può essere interpretata anche come una mossa strategica in vista della conquista di nuovi equilibri interni. In ogni caso, quello di Nardini è un atto di buon senso, è un richiamo all’onestà intellettuale all’interno di un partito in grave difficoltà. E che su temi di carattere energetico e ambientale ha perso il controllo del Comune di Rosignano, a Empoli è andato incredibilmente al ballottaggio e a Piombino ha assistito alla conferma del sindaco uscente alla guida di una coalizione di centrodestra con il forte contributo civico di forze che altrimenti sarebbero state a sinistra.
Nonostante questo scenario da guerriglia interna in un Pd toscano alla deriva, in soccorso ai mentori del disgraziato progetto arriva il soccorso dell’ala affarista di quella forza politica. L’ultimo intervento è quello di una fra le principali sostenitrici dello sciagurato progetto Multiutility, l’ex sindaca di Empoli, Brenda Barnini, con una serie di menzogne affidate a un’intervista dove almeno il collega Mario Neri del quotidiano “Il Tirreno” ha il pregio di fare domande vere. Al contrario di quei reggitori di microfono che al presidente della Regione, Eugenio Giani, lasciano impunemente dire che «senza il rigassificatore di Piombino il costo in bolletta sarebbe raddoppiato». Più che falso, il gas liquido costa almeno quattro volte di più di quello che arriva via tubo, per giunta quello di Piombino viene venduto all’estero per procurare profitti enormi a Snam e agli altri speculatori del settore.
NEL NOME DELL’AFFARISMO
Brenda Barnini però di cose non vere ne snocciola in grande quantità, che poi sia un atteggiamento consapevole o inconsapevole poco importa. Il vero problema è che questa sciagura della Multiutility rischia di diventare una battaglia ideologica e affaristica a danno di beni pubblici con scarsa possibilità di invertire la china. La menzogna più evidente è quella sui legami tra Multiutility e rigassificatore della Marcignana. Un progetto per ora scongiurato ma non è detto che non possa ripresentarsi più avanti o in qualche altro luogo non troppo lontano. La Multiutility ha bisogno di fare profitti e quell’impianto ha un duplice obiettivo: guadagnare sulla combustione dei rifiuti che diventano gas ed evitare di dover investire sull’innalzamento delle quote di raccolta differenziata a Firenze. Quell’immondizia che adesso rappresenta un costo potrebbe trasformarsi in un bancomat. E nel piano regionale dei rifiuti la capacità di smaltimento è di gran lunga superiore alla necessità, segno evidente della volontà di diventare centro di guadagno con rifiuti provenienti da altre latitudini.
Le affermazioni più pericolose dell’ex sindaca, quelle con le gambe più corte, sono invece legate al “peso” delle bollette e alle scelte da fare sugli investimenti delle Multiutility. Quando l’intervistatore le fa notare che i colossi come Acea e Hera, modelli di riferimento della congrega degli ex sindaci Nardella, Barnini e Biffoni e del presidente Giani, fanno milioni di utili ma li danno tutti agli azionisti, la risposta è palesemente falsa. L’ex sindaca afferma che «Multiutility è uno strumento, non un obiettivo. Decidere come investire gli utili spetta agli amministratori locali». E qui siamo di fronte a una palese mistificazione o a profonda ignoranza. Trattandosi di una società per azioni, l’amministratore delegato è tenuto a tutelare gli interessi degli azionisti anche per non rischiare di essere trascinato in tribunale. Se negli ultimi anni appena il 9 per cento degli utili delle grandi aziende di servizio è finito in infrastrutture e in investimenti non è per un capriccio ma per una logica di mercato.
Ancora più pericolosa la menzogna legata alle bollette, a quelle che lei definisce “tariffe calmierate”. C’è, è vero, il tema di come riacquistare le quote di Acea, ma resta una contraddizione affidare il ruolo guida di questa Multiutility a un dirigente come Alberto Irace, l’uomo che ha fatto la spola fra le tolde di comando dell’azienda romana e quelle dell’acqua e dei rifiuti fiorentine portandole quasi al dissesto, è proprio questa: perché a Roma non ci si sogna nemmeno di unire Ama con Acea e qui invece si vuol fare con un altissimo rischio di esiti sicuramente poco rassicuranti?
Certo, con la gestione dell’acqua e dei servizi di depurazione in teoria si potrebbe anche guadagnare bene e fare utili, dando al contempo servizi di qualità ai cittadini e creando occupazione. Però la pratica ci racconta altre cose, rendendo il progetto della Multiutility Toscana perdente in partenza e farebbe dell’acqua non più un bene di tutti ma uno strumento speculativo a danno del cittadino.
LE MULTIUTILITY? UN’ILLUSIONE
E dunque ci sono solide ragioni nelle proteste delle decine di comitati, coordinati dal Forum Toscano dei Movimenti per l’Acqua, che si battono contro questo scempio della cosa pubblica. E sono solidi anche i dubbi di chi sostiene che non sia opportuno dare le chiavi di questa società nascente agli stessi gruppi dirigenti che hanno immagazzinato debiti e regalato ai cittadini le bollette più care d’Italia.
Quindi non siamo di fronte solamente a timori, più che fondati, di speculazioni. Non ci sono solo silenzi sospetti, tempi stretti e conti che non tornano, con spostamenti di quote che favoriscono il Comune capoluogo di regione. Non ci sono solo i dubbi su un miliardo e 200 milioni di ricapitalizzazione a carico degli enti azionisti. Quello della Multiutility Toscana somiglia sempre più a un intrigo fatto di promesse senza fondamenta e illusori risparmi spacciati come acquisiti senza solide basi. E con una narrazione distorta, che presenta tutto come bengodi ciò che proprio bengodi non è.
Partiamo dai costi in bolletta. Fra le dieci peggiori province in fatto di efficienza e costi, nove sono toscane. In questa poco invidiabile classifica – realizzata da Altroconsumo – del costo medio al metro cubo dell’acqua al primo posto c’è Frosinone, con 4,28 euro. Nella provincia laziale, la stima della spesa media annua per una famiglia di tre persone con un consumo di 182 metri cubi è di 779 euro. Al secondo posto c’è Siena, con 4,21 euro al metro cubo e bolletta media annua di 767 euro. Terza è Grosseto con 4,21 e 767, seguono Livorno con 4,07 e 741, Arezzo con 3,97 e 723, Pisa con 3,91 e 711, Prato, Pistoia e Firenze con 3,65 euro al metro cubo e 665 euro di bolletta media. Al decimo posto Massa-Carrara con 3,64 e 663.
Otto di queste nove province, a parte quella apuana, hanno in comune il servizio affidato a società con forte partecipazione privata, quasi sempre Acea. La holding romana va a braccetto con Acquedotto del Fiora Spa (area grossetana), Publiacqua Spa (province di Firenze, Prato e Pistoia), Acque Spa (provincia di Pisa, Empolese, Valdelsa e Valdinievole). A Livorno e Piombino, con Asa Spa, il socio privato è Iren, altra Multiutility che opera soprattutto in Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte. Nell’Aretino c’è Nuove Acque Spa con Scarl socio privato.
L’unica provincia che è fuori dal libro nero delle tariffe mostruose è quella di Lucca, che si trova in 30esima posizione in un blocco di 74 (l’indagine non comprende Sardegna e Puglia). A Lucca il costo medio al metro cubo è di 2,51 euro e la bolletta media annua di 457 euro. Un dato nel quale pesa il maggior costo delle bollette a Lucca città, dove il servizio è gestito dalla Geal Spa, che ha Acea come socio privato e che ha costi in linea con quelli dell’area fiorentina.
RETI IDRICHE COLABRODO
Secondo l’ultimo rapporto del l’Istat, in Italia per garantire il livello di consumo sono stati immessi in rete 8,2 miliardi di metri cubi, a fronte dei 4,7 erogati per usi autorizzati. La percentuale di perdite idriche totali della rete nazionale dell’acqua potabile è del 42%. Così facendo, si disperdono 3,4 miliardi di metri cubi: 156 litri al giorno per abitante. Perdite pari ad almeno il 55% si riscontrano in dieci province, quasi tutte al Sud. In Toscana la situazione più complessa è a Grosseto, con il 54,1 per cento. Altre quattro province superano il dato nazionale: Prato (49,4), Massa Carrara (47,7), Firenze (43,4) e Pisa (42,2). Oltre il 60 per cento delle tubature ha più di trent’anni, il 25 per cento supera il mezzo secolo.
Di recente Publiacqua ha realizzato nuove tubature e sistemi digitali di monitoraggio nelle province di Firenze, Prato e Pistoia, utilizzando 67 milioni finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e dal ministero dello Sviluppo economico. Senza ricorrere al mercato finanziario.
IL PUBBLICO SA FARE MEGLIO
Si tratta, insomma, di avere la capacità di reperire fondi e saperli gestire. Proprio come fanno le società che guidano la classifica delle bollette meno care e dei bilanci più virtuosi. In testa ci sono le province di Milano e Monza, rispettivamente con un costo a metro cubo di 0,77 euro e 1,29 euro. A Milano la bolletta media annua è di 140 euro, quasi cinque volte meno di quelle di Firenze, Prato e Pistoia. A Monza di 235, quasi tre volte meno. In queste province opera la società Cap Holding, interamente pubblica. Tra i soci, oltre alle amministrazioni provinciali, ci sono 196 Comuni, 134 della Città Metropolitana di Milano (ex Provincia), 40 di Monza-Brianza, 20 del Pavese, uno del Comasco e uno della provincia di Varese. Il bilancio 2021 di Cap racconta di una crescita di ricavi (+11%), utili (+47%) e investimenti (+21%) sull’anno precedente, con 382 milioni di fatturato e un utile netto di 27 milioni. Una grande azienda, la prima nel settore idrico “fatto in casa” e tra le prime per abitanti serviti, oltre due milioni e mezzo, praticamente gli stessi delle province di Firenze, Pistoia, Prato, Arezzo, Siena e Lucca. Quanto agli investimenti, Cap sta affiancando la Città metropolitana di Milano per un piano mirato di interventi sul territorio finanziato con 71 milioni dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), più o meno l’importo utilizzato da Publiacqua.
LA BORSA NON SERVE. ANZI…
Dunque, una società ben gestita non ha bisogno di quotarsi in Borsa e aprire le porte ai privati. Quando ha necessità di finanziamenti, può comunque presentarsi con la sua mole di fatturato e di patrimonio e ottenere oneri abbordabili e comunque con un costo certo. Non suscettibili di variazioni, anche repentine e imprevedibili, come quelle della quotazione sul mercato azionario.
Un altro esempio virtuoso arriva dal Veneto, dove hanno deciso di percorrere una strada diversa, quella di reperire finanziamenti con l’emissione di obbligazioni denominate “Hydrobond” per poi investire in progetti funzionali a un miglior servizio. Il progetto nasce da “Viveracqua”, un consorzio di aziende pubbliche delle province di Padova, Vicenza, Venezia, Rovigo, Verona, Treviso e Belluno. Il Piano prevede, fra l’altro, la realizzazione di 560 chilometri di condotte di acquedotto e fognatura e incremento della capacità di depurazione per 500 mila abitanti. Un modo per finanziarsi (623,5 milioni in otto anni) senza far entrare i privati. Funziona molto bene e le tariffe sono vantaggiose. Venezia, ad esempio, è decima tra le più virtuose. Il costo al metro cubo è di 1,66 euro, la bolletta media annua di 303 euro.
Quindi la realtà dei fatti e dei numeri – incontrovertibile e incontestabile – ci racconta un mondo molto diverso da quello dipinto dalle parole con le gambe corte di Brenda Barnini, Dario Nardella, Matteo Biffoni ed Eugenio Giani. La Multiutility serve solo per fare affari convenienti solo per i privati. Cosa possa esserci di vantaggioso per i cittadini nessuno è in grado di spiegarlo se non con menzogne o proclami reboanti ma vuoti di reale contenuto. Insomma, un vero imbroglio a danno del cittadino.
Sì, certo, per privatizzare l’acqua bisognerebbe prima dimostrare di essere i padroni della pioggia, del cielo e dell’arcobaleno, delle sorgenti e delle viscere della Terra. E poi, bisognerebbe anche trovare il modo di aggirare i pronunciamenti di referendum popolari. Anzi, più che di aggirarli si tratterebbe di tradirli mettendo in piedi una vera e propria truffa nei confronti dei cittadini.
Dovrebbe bastare questo per fermare ogni appetito speculativo come quello delle quotazioni in Borsa della gestione dell’acqua. Non è un caso se in molte realtà italiane le Multiutility dei servizi e dell’energia che ci hanno provato si sono sentite rispondere qualcosa del tipo “prendete tutto ma non l’acqua”. Nel cuore della Toscana, nell’area fiorentina, pratese e pistoiese, dove ci sono i maggiori interessi, invece il processo di privatizzazione va avanti senza alcun dibattito vero, a colpi di proclami e di menzogne.
Oggi ogni tentativo di deviazione della rotta tracciata dall’ala affarista del Pd fiorentino-pratese-empolese viene presa come un atto di lesa maestà. Sì, certo, forse l’uscita dell’assessora regionale Alessandra Nardini che vuole sganciare la pisana “Acque spa” dalla Multiutility può essere interpretata anche come una mossa strategica in vista della conquista di nuovi equilibri interni. In ogni caso, quello di Nardini è un atto di buon senso, è un richiamo all’onestà intellettuale all’interno di un partito in grave difficoltà. E che su temi di carattere energetico e ambientale ha perso il controllo del Comune di Rosignano, a Empoli è andato incredibilmente al ballottaggio e a Piombino ha assistito alla conferma del sindaco uscente alla guida di una coalizione di centrodestra con il forte contributo civico di forze che altrimenti sarebbero state a sinistra.
Nonostante questo scenario da guerriglia interna in un Pd toscano alla deriva, in soccorso ai mentori del disgraziato progetto arriva il soccorso dell’ala affarista di quella forza politica. L’ultimo intervento è quello di una fra le principali sostenitrici dello sciagurato progetto Multiutility, l’ex sindaca di Empoli, Brenda Barnini, con una serie di menzogne affidate a un’intervista dove almeno il collega Mario Neri del quotidiano “Il Tirreno” ha il pregio di fare domande vere. Al contrario di quei reggitori di microfono che al presidente della Regione, Eugenio Giani, lasciano impunemente dire che «senza il rigassificatore di Piombino il costo in bolletta sarebbe raddoppiato». Più che falso, il gas liquido costa almeno quattro volte di più di quello che arriva via tubo, per giunta quello di Piombino viene venduto all’estero per procurare profitti enormi a Snam e agli altri speculatori del settore.
NEL NOME DELL’AFFARISMO
Brenda Barnini però di cose non vere ne snocciola in grande quantità, che poi sia un atteggiamento consapevole o inconsapevole poco importa. Il vero problema è che questa sciagura della Multiutility rischia di diventare una battaglia ideologica e affaristica a danno di beni pubblici con scarsa possibilità di invertire la china. La menzogna più evidente è quella sui legami tra Multiutility e rigassificatore della Marcignana. Un progetto per ora scongiurato ma non è detto che non possa ripresentarsi più avanti o in qualche altro luogo non troppo lontano. La Multiutility ha bisogno di fare profitti e quell’impianto ha un duplice obiettivo: guadagnare sulla combustione dei rifiuti che diventano gas ed evitare di dover investire sull’innalzamento delle quote di raccolta differenziata a Firenze. Quell’immondizia che adesso rappresenta un costo potrebbe trasformarsi in un bancomat. E nel piano regionale dei rifiuti la capacità di smaltimento è di gran lunga superiore alla necessità, segno evidente della volontà di diventare centro di guadagno con rifiuti provenienti da altre latitudini.
Le affermazioni più pericolose dell’ex sindaca, quelle con le gambe più corte, sono invece legate al “peso” delle bollette e alle scelte da fare sugli investimenti delle Multiutility. Quando l’intervistatore le fa notare che i colossi come Acea e Hera, modelli di riferimento della congrega degli ex sindaci Nardella, Barnini e Biffoni e del presidente Giani, fanno milioni di utili ma li danno tutti agli azionisti, la risposta è palesemente falsa. L’ex sindaca afferma che «Multiutility è uno strumento, non un obiettivo. Decidere come investire gli utili spetta agli amministratori locali». E qui siamo di fronte a una palese mistificazione o a profonda ignoranza. Trattandosi di una società per azioni, l’amministratore delegato è tenuto a tutelare gli interessi degli azionisti anche per non rischiare di essere trascinato in tribunale. Se negli ultimi anni appena il 9 per cento degli utili delle grandi aziende di servizio è finito in infrastrutture e in investimenti non è per un capriccio ma per una logica di mercato.
Ancora più pericolosa la menzogna legata alle bollette, a quelle che lei definisce “tariffe calmierate”. C’è, è vero, il tema di come riacquistare le quote di Acea, ma resta una contraddizione affidare il ruolo guida di questa Multiutility a un dirigente come Alberto Irace, l’uomo che ha fatto la spola fra le tolde di comando dell’azienda romana e quelle dell’acqua e dei rifiuti fiorentine portandole quasi al dissesto, è proprio questa: perché a Roma non ci si sogna nemmeno di unire Ama con Acea e qui invece si vuol fare con un altissimo rischio di esiti sicuramente poco rassicuranti?
Certo, con la gestione dell’acqua e dei servizi di depurazione in teoria si potrebbe anche guadagnare bene e fare utili, dando al contempo servizi di qualità ai cittadini e creando occupazione. Però la pratica ci racconta altre cose, rendendo il progetto della Multiutility Toscana perdente in partenza e farebbe dell’acqua non più un bene di tutti ma uno strumento speculativo a danno del cittadino.
LE MULTIUTILITY? UN’ILLUSIONE
E dunque ci sono solide ragioni nelle proteste delle decine di comitati, coordinati dal Forum Toscano dei Movimenti per l’Acqua, che si battono contro questo scempio della cosa pubblica. E sono solidi anche i dubbi di chi sostiene che non sia opportuno dare le chiavi di questa società nascente agli stessi gruppi dirigenti che hanno immagazzinato debiti e regalato ai cittadini le bollette più care d’Italia.
Quindi non siamo di fronte solamente a timori, più che fondati, di speculazioni. Non ci sono solo silenzi sospetti, tempi stretti e conti che non tornano, con spostamenti di quote che favoriscono il Comune capoluogo di regione. Non ci sono solo i dubbi su un miliardo e 200 milioni di ricapitalizzazione a carico degli enti azionisti. Quello della Multiutility Toscana somiglia sempre più a un intrigo fatto di promesse senza fondamenta e illusori risparmi spacciati come acquisiti senza solide basi. E con una narrazione distorta, che presenta tutto come bengodi ciò che proprio bengodi non è.
Partiamo dai costi in bolletta. Fra le dieci peggiori province in fatto di efficienza e costi, nove sono toscane. In questa poco invidiabile classifica – realizzata da Altroconsumo – del costo medio al metro cubo dell’acqua al primo posto c’è Frosinone, con 4,28 euro. Nella provincia laziale, la stima della spesa media annua per una famiglia di tre persone con un consumo di 182 metri cubi è di 779 euro. Al secondo posto c’è Siena, con 4,21 euro al metro cubo e bolletta media annua di 767 euro. Terza è Grosseto con 4,21 e 767, seguono Livorno con 4,07 e 741, Arezzo con 3,97 e 723, Pisa con 3,91 e 711, Prato, Pistoia e Firenze con 3,65 euro al metro cubo e 665 euro di bolletta media. Al decimo posto Massa-Carrara con 3,64 e 663.
Otto di queste nove province, a parte quella apuana, hanno in comune il servizio affidato a società con forte partecipazione privata, quasi sempre Acea. La holding romana va a braccetto con Acquedotto del Fiora Spa (area grossetana), Publiacqua Spa (province di Firenze, Prato e Pistoia), Acque Spa (provincia di Pisa, Empolese, Valdelsa e Valdinievole). A Livorno e Piombino, con Asa Spa, il socio privato è Iren, altra Multiutility che opera soprattutto in Emilia-Romagna, Liguria e Piemonte. Nell’Aretino c’è Nuove Acque Spa con Scarl socio privato.
L’unica provincia che è fuori dal libro nero delle tariffe mostruose è quella di Lucca, che si trova in 30esima posizione in un blocco di 74 (l’indagine non comprende Sardegna e Puglia). A Lucca il costo medio al metro cubo è di 2,51 euro e la bolletta media annua di 457 euro. Un dato nel quale pesa il maggior costo delle bollette a Lucca città, dove il servizio è gestito dalla Geal Spa, che ha Acea come socio privato e che ha costi in linea con quelli dell’area fiorentina.
RETI IDRICHE COLABRODO
Secondo l’ultimo rapporto del l’Istat, in Italia per garantire il livello di consumo sono stati immessi in rete 8,2 miliardi di metri cubi, a fronte dei 4,7 erogati per usi autorizzati. La percentuale di perdite idriche totali della rete nazionale dell’acqua potabile è del 42%. Così facendo, si disperdono 3,4 miliardi di metri cubi: 156 litri al giorno per abitante. Perdite pari ad almeno il 55% si riscontrano in dieci province, quasi tutte al Sud. In Toscana la situazione più complessa è a Grosseto, con il 54,1 per cento. Altre quattro province superano il dato nazionale: Prato (49,4), Massa Carrara (47,7), Firenze (43,4) e Pisa (42,2). Oltre il 60 per cento delle tubature ha più di trent’anni, il 25 per cento supera il mezzo secolo.
Di recente Publiacqua ha realizzato nuove tubature e sistemi digitali di monitoraggio nelle province di Firenze, Prato e Pistoia, utilizzando 67 milioni finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e dal ministero dello Sviluppo economico. Senza ricorrere al mercato finanziario.
IL PUBBLICO SA FARE MEGLIO
Si tratta, insomma, di avere la capacità di reperire fondi e saperli gestire. Proprio come fanno le società che guidano la classifica delle bollette meno care e dei bilanci più virtuosi. In testa ci sono le province di Milano e Monza, rispettivamente con un costo a metro cubo di 0,77 euro e 1,29 euro. A Milano la bolletta media annua è di 140 euro, quasi cinque volte meno di quelle di Firenze, Prato e Pistoia. A Monza di 235, quasi tre volte meno. In queste province opera la società Cap Holding, interamente pubblica. Tra i soci, oltre alle amministrazioni provinciali, ci sono 196 Comuni, 134 della Città Metropolitana di Milano (ex Provincia), 40 di Monza-Brianza, 20 del Pavese, uno del Comasco e uno della provincia di Varese. Il bilancio 2021 di Cap racconta di una crescita di ricavi (+11%), utili (+47%) e investimenti (+21%) sull’anno precedente, con 382 milioni di fatturato e un utile netto di 27 milioni. Una grande azienda, la prima nel settore idrico “fatto in casa” e tra le prime per abitanti serviti, oltre due milioni e mezzo, praticamente gli stessi delle province di Firenze, Pistoia, Prato, Arezzo, Siena e Lucca. Quanto agli investimenti, Cap sta affiancando la Città metropolitana di Milano per un piano mirato di interventi sul territorio finanziato con 71 milioni dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), più o meno l’importo utilizzato da Publiacqua.
LA BORSA NON SERVE. ANZI…
Dunque, una società ben gestita non ha bisogno di quotarsi in Borsa e aprire le porte ai privati. Quando ha necessità di finanziamenti, può comunque presentarsi con la sua mole di fatturato e di patrimonio e ottenere oneri abbordabili e comunque con un costo certo. Non suscettibili di variazioni, anche repentine e imprevedibili, come quelle della quotazione sul mercato azionario.
Un altro esempio virtuoso arriva dal Veneto, dove hanno deciso di percorrere una strada diversa, quella di reperire finanziamenti con l’emissione di obbligazioni denominate “Hydrobond” per poi investire in progetti funzionali a un miglior servizio. Il progetto nasce da “Viveracqua”, un consorzio di aziende pubbliche delle province di Padova, Vicenza, Venezia, Rovigo, Verona, Treviso e Belluno. Il Piano prevede, fra l’altro, la realizzazione di 560 chilometri di condotte di acquedotto e fognatura e incremento della capacità di depurazione per 500 mila abitanti. Un modo per finanziarsi (623,5 milioni in otto anni) senza far entrare i privati. Funziona molto bene e le tariffe sono vantaggiose. Venezia, ad esempio, è decima tra le più virtuose. Il costo al metro cubo è di 1,66 euro, la bolletta media annua di 303 euro.
Quindi la realtà dei fatti e dei numeri – incontrovertibile e incontestabile – ci racconta un mondo molto diverso da quello dipinto dalle parole con le gambe corte di Brenda Barnini, Dario Nardella, Matteo Biffoni ed Eugenio Giani. La Multiutility serve solo per fare affari convenienti solo per i privati. Cosa possa esserci di vantaggioso per i cittadini nessuno è in grado di spiegarlo se non con menzogne o proclami reboanti ma vuoti di reale contenuto. Insomma, un vero imbroglio a danno del cittadino.